Cresce ancora l’età minima per lasciare il lavoro: dal 2019 per accedere all’assegno di vecchiaia bisognerà aver compiuto 67 anni, contro gli attuali 66 anni e 7 mesi e i 66 più 11 mesi già previsti dalla Legge di riforma pensionistica Monti-Fornero. Il decreto maggiorativo del Governo è pronto a livello tecnico, subito dopo l’estate verrà affrontato in ambito politico. Il motivo dell’ulteriore elevazione dell’età si deve al fatto, scrive oggi Il Corriere della Sera, che “la speranza di vita dopo i 65 anni si sta allungando: per gli uomini siamo passati dai 18,6 anni del 2013 ai 19,1 anni del 2016; per le donne da 22 a 22,4 anni. Per questo l’ipotesi è che venga spostata verso l’alto anche l’età della pensione, che potrebbe passare dai 66 anni e sette mesi di adesso a 67 anni. Non subito ma a partire dal 2019. Non sarebbe una differenza da poco. E spingerebbe ancora più in alto quei requisiti previdenziali che già adesso fanno dell’Italia uno dei Paesi dove si va in pensione più tardi”.
La volontà di superare la già pesante riforma Monti-Fornero giunge nelle stesse ore in cui i decreti su lavoratori precoci e Ape sociale, l’anticipo pensionistico con penalizzazioni minime, arrivano in Gazzetta Ufficiale: da ieri è infatti possibile inviare la domanda all’Inps. Secondo le stime del ministero del Lavoro, scrive repubblica.it, nel 2017 potranno lasciare il lavoro fino a tre anni e sette mesi prima, circa 60mila persone (35mila per l’Ape sociale e 25mila per i precoci), mentre altri 45mila potrebbero avere i requisiti per ritirarsi dal lavoro nel 2018 (20mila Ape sociale e 25mila precoci).
“Le domande – scrive il quotidiano romano – potranno essere fatte esclusivamente per via telematica e per il 2017 andranno inviate entro il 15 luglio. Se qualcuno avesse già presentato la richiesta questa andrà nuovamente inviata perché valida solo dopo la pubblicazione dei decreti in Gazzetta. Per l’Ape le domande per il 2017 andranno accolte entro una spesa di 300 milioni. L’Inps metterà a punto una graduatoria entro il 15 ottobre. In caso di risorse insufficienti avranno la priorità coloro che sono più vicini all’età per la pensione di vecchiaia”.
In ogni caso, commenta ancora il Corriere della Sera, l’Ape rimane “una misura sperimentale, valida fino al 2018, anche nella versione volontaria che deve ancora partire e che consentirà l’uscita anticipata con una riduzione dell’assegno previdenziale. Se nel 2019 l’età della pensione salirà davvero a 67 anni, l’Ape sarebbe un efficace strumento di «riduzione del danno», perché consentirebbe qualche uscita anticipata in grado di mitigare l’effetto del nuovo innalzamento generale dei requisiti. L’Ape su base volontaria non ha costi per lo Stato, perché viene «finanziata» con i tagli agli assegni di chi sceglie questa strada. L’Ape social, invece, sì. E non sono trascurabili visto che solo per la sperimentazione sono stati stanziati quasi due miliardi di euro nell’arco di sei anni. Renderla stabile costerebbe. E il problema è quello di sempre, trovare i soldi”.
Il problema non è di facile soluzione. Perché, sullo sfondo, rimane sempre l’ingiusta esclusione degli altri livelli di docenza pubblica: il lavoro dei docenti è tutto ad alto rischio burnout. Il via libera che oggi, giustamente, è stato dato ai maestri della scuola dell’infanzia deve essere esteso anche ai colleghi della primaria e secondaria, di primo e secondo grado: “le agevolazioni pensionistiche dell’Ape Social, spettanti a chi svolge un lavoro usurante, vanno per forza allargate e tutti i livelli d’insegnamento – ribadisce Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – : per quanto riguarda l’Ape volontaria, invece, con i lavoratori chiamati a restituire fino a 500 euro al mese per vent’anni in cambio di tre anni e mezzo di anticipo pensionistico, continuiamo ad avere grossi dubbi. Non si tratta, di certo, di proposte da accettare a occhi chiusi: alla resa dei conti, stiamo parlando di un ammortizzatore sociale, un ponte verso la pensione, che il beneficiario dovrà pagare a carissimo prezzo”.
“Non dimentichiamo inoltre – continua il presidente Anief – che le pensioni attuali e future sono state già penalizzate dal nuovo modello di calcolo contributivo: ridurle di un importo così importante, significa portarle abbondantemente sotto i mille euro e sempre più vicino all’assegno sociale. Ovvero, lavorare e pagare contributi per quasi 40 anni, per poi ritrovarsi in mano poco più di chi non ha svolto nemmeno un giorno di lavoro. E che dire degli effetti devastanti sul fronte dei servizi? Nella scuola, a esempio, abbiamo già oggi il corpo docenti più vecchio (3 su 4 hanno oltre 50 anni, il doppio dell’area Ocse) e malpagato (meno di 30mila euro lordi l’anno). A breve – conclude Pacifico – raggiungeremo un record inarrivabile”.
Si ricorda che, per l’accoglimento della domanda di pensionamento anticipato, rimane necessario aver compiuto 63 anni di età e avere un trattamento pensionistico lordo non superiore ai 1.500 euro mensili. È bene ricordare che attraverso l’Ape Social i lavoratori non attingono a un prestito, ma ricevono dall’Inps una cifra uguale alla pensione certificata al momento della richiesta, fino all’importo massimo dei 1.500 euro lordi.
Per districarsi meglio sulla materia e sulle continue variazioni e opportunità, Anief ha siglato una convenzione con il Centro servizi Cedan, società autorizzata a erogare, per mezzo della confederazione Cisal, servizi di Caf e patronato: tramite i referenti Cedan, sarà possibile conoscere la rata della pensione con l’Ape volontaria, in modo da permettere di affrontare l’eventuale adesione con la massima consapevolezza. Altri servizi sono rappresentati dalla compilazione ed elaborazione del modello 730, Isee e ogni pratica di natura fiscale: domande di pensioni, disoccupazione e assistenza previdenziale. Ricordiamo che è possibile inoltre presentare la prossima dichiarazione dei redditi e di disoccupazione. Per trovare la sede più vicina, gli interessati devono cliccare qui. Per Info: Cedan, Via Rosario Salvo, 96, Palermo; Tel. 091 424272, mail info@cedan.it