Tre rapporti che fotografano la situazione attuale del consumo di suolo a livello regionale, nazionale ed europeo. E’ quanto hanno presentao il CRCS (Centro di Ricerche sul Consumo di Suolo di INU, Legambiente e Politecnico di Milano) e ISPRA il 4 luglio a Milano. Una presentazione congiunta che ha la sua ragion d’essere nel fatto che il problema non conosce confini amministrativi, ma opera sotto la spinta di dinamiche economiche e finanziarie presenti in tutte le regioni e i Paesi europei.
In sostanza: in Europa è previsto un ulteriore consumo di territorio con numeri da capogiro pari a 3,2 milioni di ettari agricoli. Significa cemento su un’area vasta quanto la pianura padana. In Italia (e non solo) ciò che non funziona sono le definizioni di cosa debba essere il consumo di suolo. In assenza di norme di riferimento ogni regione ha interpretato questo concetto a modo suo, usandolo per coprire interessi che non sempre vanno nella direzione della tutela del suolo, bene comune esuribile. Il consumo di suolo, pur con diverse accentuazioni, è un male comune a tutte le regioni italiane.
Che fa il nostro Governo? Da oltre 400 giorni la legge sul suolo è parcheggiata al Senato nonostante sia chiaro che fermare il dilagare delle urbanizzazioni è indispensabile per far partire l’economia della rigenerazione del tanto patrimonio urbano già esistente ma sottoutilizzato e comunque bisognoso di rivitalizzazione. Con un suolo senza tutele, l’uscita dalla crisi produrrà inesorabilmente nuove alluvioni di cemento!
In Europa? Manca una direttiva sui suoli e, come rileva il rapporto di CRCS, anche in ciascuno degli Stati Membri le norme, se ci sono, risultano frammentarie ed incoerenti: ogni Stato fa da sé, o più spesso non fa nulla. Mancando una cornice di richiamo vincolante alla tutela della più preziosa risorse naturale dell’UE.