Nel pomeriggio di ieri, poco prima che andasse in onda la trasmissione Report della Rai che tornava sull’argomento, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha comunicato la conclusione delle due istruttorie avviate sul tema proprio a seguito della prima trasmissione tv Rai e che hanno portato a ritenere gravemente ingannevoli e omissive le modalità di offerta dei diamanti da investimento da parte di Intermarket Diamond Business (Idb) e Diamond Private Investment (Dpi), anche attraverso gli istituti di credito con i quali rispettivamente operavano: Unicredit e Banco BPM, Intesa Sanpaolo e Banca Monte dei Paschi di Siena.
Le sanzioni pecuniarie irrogate ammontano a:
2 milioni per Idb; 4 milioni per Unicredit; 3,35 milioni per Banco Bpm.
1 milione per Dpi; 3 milioni per Banca Intesa Sanpaolo; 2 milioni per Banca Mps.
I profili di scorrettezza riscontrati per entrambe le società hanno riguardato le informazioni ingannevoli e omissive diffuse attraverso il sito e il materiale promozionale dalle stesse predisposto in merito: a) al prezzo di vendita dei diamanti, presentato come quotazione di mercato, frutto di una rilevazione oggettiva pubblicata sui principali giornali economici; b) all’andamento del mercato dei diamanti, rappresentato in stabile e costante crescita; c) all’agevole liquidabilità e rivendibilità dei diamanti alle quotazioni indicate e con una tempistica certa; e d) alla qualifica dei professionisti come leader di mercato.
Ad impressionare è l’accertamento, da parte dell’Antitrust, dell’esistenza di una vendita di natura piramidale.
Si legge infatti che "alla luce delle risultanze istruttorie è emerso che le quotazioni di mercato erano i prezzi di vendita liberamente determinati dai professionisti in misura ampiamente superiore al costo di acquisto della pietra e ai benchmark internazionali di riferimento (Rapaport e IDEX); l’andamento delle quotazioni era l’andamento del prezzo di vendita delle imprese annualmente e progressivamente aumentato dai venditori; e le prospettive di liquidabilità e rivendibilità erano unicamente legate alla possibilità che il professionista trovasse altri consumatori all’interno del proprio circuito".
Venendo alle banche complici, si apprende che "gli istituti di credito, principale canale di vendita dei diamanti per entrambe le imprese, utilizzando il materiale informativo predisposto da Idb e Dpi, proponevano l’investimento a una specifica fascia della propria clientela interessata all’acquisto dei diamanti come un bene rifugio e a diversificare i propri investimenti. (…) Il fatto che l’investimento fosse proposto da parte del personale bancario e la presenza del personale bancario agli incontri tra i due professionisti e i clienti, forniva ampia credibilità alle informazioni contenute nel materiale promozionale delle due società, determinando molti consumatori all’acquisto senza effettuare ulteriori accertamenti".
Tutto ciò conferma la nostra iniziale definizione riguardante le banche che nella vicenda sono state complici consapevoli di una vendita piramidale di diamanti.
Cosa fare adesso?
Come detto all’indomani del primo servizio della trasmissione Report della Rai, il 20 ottobre del 2016, il discorso è assai semplice: le banche devono risarcire tutti i clienti. (2) Nei nostri diversi articoli sulla vicenda abbiamo ripetutamente riferito come ad Intesa Sanpaolo avessero iniziato a risarcire i clienti che andavano in agenzia a protestare "con le buone" senza farsi abbindolare dai falsi "tavoli coi consumatori". (3) Abbiamo anche pubblicato il documento che prova l’acquisto dei diamanti da parte di Intesa Sanpaolo (4). Abbiamo anche un caso risolto positivamente che riguarda un cliente Unicredit.
Ora che le sanzioni sono pervenute, sebbene ricordiamo che sono appellabili da parte di tutti i soggetti, si ha un’arma consistente in più per reclamare verso le banche complici consapevoli della vendita piramidale di diamanti. Ed è ciò che ora Aduc inizierà a fare per conto dei sempre più numerosi clienti che da un anno si rivolgono a noi.
Ancora, i clienti devono sempre ricordare di possedere un’arma assai forte che è l’arma della concorrenza: una (presunta) grande banca non può affermare che non era a conoscenza del reale valore dei diamanti e di come lavorasse un suo partner commerciale. Se davvero fosse, vorrebbe dire che per i clienti è assai meglio non avere mai più a che fare con la (presunta) grande banca per alcun motivo.
Ribadiamo, infine, il consiglio di non lasciare i diamanti in custodia presso la Idb e la Dpi.
Anna D’Antuono
Avvocato, consulente Aduc