Per lo sblocco del contratto degli statali il 30 novembre del 2016 fu sottoscritto un accordo al ribasso tra sindacati rappresentativi e Funzione Pubblica, attraverso cui si prevedeva l’assegnazione di 85 euro lordi a lavoratore pubblico comprendenti gli arretrati del biennio precedente: ora si può dire con certezza che quell’accordo è stato disatteso, perché le risorse assegnate dal Governo sono insufficienti. Lo si evince, in modo chiaro, dall’Atto di Indirizzo contenuto nel disegno di legge n. 2960, in questi giorni al vaglio delle Commissioni di competenza del Senato, al fine di redigere entro l’8 novembre i pareri dei senatori appartenenti alla Commissione Bilancio.
Da un’analisi dei testi e delle tabelle allegate al ddl, si può dire con certezza che i 3,3 milioni di dipendenti pubblici possono dire addio agli 85 euro medi stabiliti a lavoratore pubblico, peraltro già di per sé largamente insufficiente a risalire la china rispetto al costo della vita: in base ai finanziamenti previsti dalle ultime due Leggi di Stabilità, sono infatti in arrivo aumenti mensili di appena 14 euro per ogni statale per gli arretrati 2016 e 2017; poi, dal prossimo 1° gennaio, l’incremento medio sarà di soli 66 euro. Vanno invece nel dimenticatoio le somme dell’ultimo quadrimestre 2015, previste diversamente da una puntuale sentenza della Corte Costituzionale.
Ai sensi dell’art. 58 del disegno di legge n. 2960, infatti, sono stati stanziati per gli statali la miseria di 300 milioni di euro per il 2016 che si aggiungono ai 900 milioni per il 2017 e 2,850 miliardi per il 2018. “Tali somme – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e Udir – eludono proprio il fatto che la Corte costituzionale abbia sbloccato il contratto dal settembre 2015, mese in cui il Governo avrebbe dovuto anche sbloccare l’adeguamento dell’indennità di vacanza contrattuale al tasso di inflazione, programmata al netto dell’aumento del costo della vita registrato negli ultimi dieci anni. Un’eventuale firma del contratto, d’altronde, assorbirebbe proprio quell’anticipo dell’indennità di vacanza contrattuale che è bloccato ai valori registrati nel 2008”.
Il sindacalista autonomo si sofferma sul fatto che “siamo giunti ad un paradosso: se non si firma il contratto al lavoratore spettano 80 euro e dal 2015, ma se si firma gliene toccano 31 e dal 2016. Ecco perché a queste condizioni è decisamente meglio non sottoscrivere alcun contratto. Il solo adeguamento dell’indennità di vacanza contrattuale al 50 per cento del costo dell’inflazione registrata e programmata, da rivendicare in tribunale, porterebbe invece incrementi di 120 euro”, conclude Pacifico.
Il giovane sindacato annuncia quindi battaglia in Parlamento, dove chiederà, in audizione, almeno di trovare i finanziamenti pubblici per ancorare da subito gli stipendi al 50 per cento dell’aumento del costo dell’inflazione registrata dal 2008 a partire dal settembre 2015. Si tratta di aumenti mensili incluse le annualità trascorse di 105 euro a dipendente, il doppio per i dirigenti come sostiene anche Udir.
Di sicuro, in ogni caso, solo presentando ricorso con Anief è possibile da subito recuperare il 7% dello stipendio da settembre 2015, come già confermato dalla Corte Costituzionale. Tutti i dipendenti interessati, possono utilizzare i modelli di diffida per ancorare almeno lo stipendio al 50% della spinta inflattiva, come previsto dall’articolo 36 della Costituzione. È possibile anche pre-aderire direttamente al ricorso.