“L’età pensionabile degli italiani è diventata così alta da far perdere il sonno ai nostri lavoratori. Le medie dell’Ocse che indicano l’Italia ancora tra i Paesi più fortunati lasciano il tempo che trovano: purtroppo, quello che conta sono le riforme previdenziali approvate nell’ultimo periodo che hanno innalzato di dieci anni i requisiti e l’età di accesso. E a breve si salirà di un ulteriore quinquennio. La verità è che serve una contro-Fornero”. A dirlo è Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, commentando il rapporto Pensions at a glance, pubblicato in settimana dall’organizzazione internazionale con sede a Parigi.
L’Ocse ha rilevato che oggi un giovane italiano, ammesso che trovi il lavoro a 20 anni, è destinato comunque ad andare in pensione a 71 anni; tuttavia l’età effettiva attuale di pensionamento rimane favorevole perché ancora a 62,1 anni per gli uomini e 61,3 per le donne, poiché esisterebbero “ulteriori canali che possono permettere di uscire anticipatamente”. Viene da chiedersi come si possa allargare a tutta la platea dei lavoratori una facoltà che il Governo ha dato, attraverso l’Ape Social, a sole 15 categorie occupazionali. Le stesse che beneficeranno della deroga di innalzamento dell’età pensionabile. È tutto dire che a beneficiarne sarebbero, se va bene, poche decine di migliaia di lavoratori, la maggiora parte dei quali appartenenti al settore privato poiché in stato di disoccupazione forzata a fine carriera.
“Per i dipendenti pubblici la realtà è fatta di nuove regole che hanno prodotto soglie d’uscita sempre più alte: attualmente 66 anni e 7 mesi che tra un anno diventeranno 67 anni tondi e più avanti oltre i 71 anni. Chi vuole andarsene con la pensione di anzianità, invece, dovrà possedere quasi 44 anni di periodi contributivi. A breve, anche per le donne. “Se proprio vogliamo parlare di medie – dice Marcello Pacifico –, allora fermiamoci a quella che riguarda il 99 per cento dei lavoratori pubblici che già oggi vanno in pensione tre anni più tardi dei Paesi Ocse, dove si è attestati comunque attorno ai 63 anni e mezzo. I dati indicati nel rapporto annuale Pensions at a glance evidentemente si riferivano ad un campione di pensionati e non all’intera platea di lavoratori costretti a lasciare sempre più tardi”.
La verità è poi fatta di un Governo che sta preparando ulteriori penalizzazioni. La stessa revisione, dal 2021, su base biennale del meccanismo di adeguamento dell’età alla speranza di vita non è certo stata introdotta per ridurre l’età pensionabile. Ma il travisamento della realtà raggiunge l’apice quando si è parlato di importo dei trattamenti pensionistici: sappiamo bene che presto il sistema retributivo, applicato in passato, rimarrà un ricordo, per fare spazio al totale sistema di calcolo contributivo. Il quale penalizzerà non pochi i lavoratori italiani: lo stesso giovane, della Millennial Generation, che ha iniziato a lavorare nel 2016, infatti, potrà andare in pensione non prima dl 2067, dopo mezzo secolo di lavoro, e con un assegno di quiescenza pari se va bene al 50 per cento dell’ultimo stipendio.
“I dipendenti pubblici e della scuola – continua il sindacalista Anief-Cisal – saranno i più penalizzati da questo nuovo meccanismo. Perché oltre che a percepire stipendi bassi, non a caso bloccati da quasi un decennio e privati anche dell’indennità di vacanza contrattuale, avranno pure pensioni più piccole. La vera beffa è che tutto questo avviene mentre in Germania un insegnante continua a lasciare il lavoro per il pensionamento dopo circa 25 anni di servizio e senza particolari penalizzazioni. Mentre in Francia si lascia ancora oggi tra i 60 e i 62 anni. Sono dati pubblici su cui varrebbe la pena riflettere anziché pensare che le sorti della finanza debbano poggiare solo sulle spalle di chi ha lavorato per una vita”, conclude Pacifico.
Anief-Cisal continua anche a rimarcare che ci sono delle professioni, come quella di chi opera a scuola, docenti e Ata, che meritano considerazione per essere derogate dagli innalzamenti dell’età per lasciare il lavoro: oltre una certa età, attorno ai 60 anni, un lavoratore che opera a stretto contatto con bambini e ragazzi in crescita ha la forte esigenza di andare in pensione. Svolgendo un lavoro di relazione, chi opera nella scuola accumula infatti un grado di stress che alla lunga può sfociare in disturbi se non in patologie: lo dicono i più autorevoli studi in materia, come lo studio decennale ‘Getsemani Burnout e patologia psichiatrica negli insegnanti’. Lo testimonia, proprio in questi giorni, il successo della petizione, promossa dal medico Vittorio Lodolo D’Oria, tra i massimi esperti nazionali di “stress lavoro correlato”, attraverso cui si chiedono stipendi adeguati, pensione anticipata e tutela della salute degli insegnanti.