Il SSN finora si è sostenuto sul sacrificio di medici e dirigenti sanitari. E le Regioni hanno garantito i LEA, almeno quelle che lo hanno fatto, a spese dei professionisti, delle loro ferie, delle loro risorse accessorie, dell’abuso del loro orario di lavoro. La diminuzione del perimetro della tutela pubblica sta provocando tra i cittadini attese più lunghe, maggiori diseguaglianze territoriali, crescita del divario tra chi può curarsi pagando e chi no. Ormai si declina il diritto alla salute in base alla residenza e la distanza tra Bolzano e Napoli si può esprimere in 700 km o in 4 anni di aspettativa di vita. E la situazione, che la legge di bilancio 2018 nemmeno prende in considerazione persa come è dietro bonus di ogni genere, è avviata a peggiorare.
Questo il quadro dello SCIOPERO NAZIONALE dei Medici e dei Dirigenti sanitari, strutturati e precari, compresi quelli storici della ricerca, atipici, pagati con il baratto o assunti con contratti di dieci giorni, che causerà domani la sospensione di 40.000 interventi chirurgici, di centinaia di migliaia di visite specialistiche e prestazioni diagnostiche, il blocco di tutta l’attività veterinaria connessa al controllo degli alimenti. La sanità chiude un giorno per non chiudere per sempre.
Domani è chiamato allo sciopero chi vive da anni una condizione lavorativa caratterizzata da mancato rispetto delle pause e dei riposi, milioni di ore di lavoro non retribuite e non recuperabili, ferie non godute, turni notturni ad una età alla quale tutte le categorie, pubbliche e private, sono esonerate, reperibilità oltre il dettato contrattuale su più ospedali contemporaneamente, aumento dei carichi di lavoro festivi e notturni, progressioni di carriere rarefatte, livelli retributivi inchiodati al 2010 con perdite calcolate fino ai 50.000 euro per i giovani ed i livelli apicali. Una stangata senza eguali.
Contemporaneamente, un’intera generazione di giovani è relegata dopo 11-12 anni di formazione in contratti di lavoro precari ed atipici, molto simili ad un caporalato 2.0, o nel limbo della disoccupazione post laurea. Nonostante ciò dopo 8 anni di blocco non si sente ancora il segnale di inizio per la discussione del CCNL, alla faccia della Corte Costituzionale e delle dichiarazioni dei ministri che assicurano che si chiuderà prima di Natale. Già, ma di quale anno?
Domani è l’occasione per i Medici e Dirigenti sanitari per una civile protesta, per pretendere un cambiamento che non verrà da solo, per mettere in campo l’orgoglio di una categoria che è e vuole essere considerata gruppo dirigente, parte della soluzione della crisi della sanita italiana e non del problema. Per reclamare valore al nostro lavoro, che è diritto a difesa di altri diritti, perché i LEA siamo noi, le nostre competenze e conoscenze che fanno la differenza tra la vita e la morte, tra malattia e salute.
Se non rioccuperemo uno spazio politico, Regioni e aziende, con l’inerzia del ministero, assegneranno il ruolo ed il lavoro del medico a chi si offre a minor prezzo e con maggior interesse della politica.
Per questi motivi chiamiamo i Medici ed i Dirigenti sanitari a mobilitarsi per dare senso e forza alle battaglie, per chiedere al Governo una inversione di rotta che riporti la sanità pubblica, e quindi la salute degli italiani, nella agenda della politica nazionale, con la legge di bilancio e con il CCNL, invece di scommettere contro se stesso investendo i soldi dei libretti postali nella sanità privata.
Altrimenti, dovremmo pensare che i partiti al Governo hanno perso la salute. E la prognosi sarebbe riservata. #primadivotarepensallasalute