Con decisione C(2000) 2346 dell’8 agosto 2000, adottata ai sensi del regolamento (CE) n. 1260/1999[1], la Commissione ha approvato il Programma Operativo per la Regione Sicilia (in prosieguo: il «POR Sicilia»), che si integra nel quadro comunitario di sostegno per gli interventi strutturali comunitari nelle regioni interessate dall’obiettivo n. 1 in Italia (CCI 1999IT 16 lPOO 11 ). Tale decisione, come modificata nel 2004, prevedeva una partecipazione dei fondi strutturali di EUR 1 209 241 572, con un cofinanziamento del Fondo sociale europeo (in prosieguo: il «FSE») di importo massimo pari a EUR 846 469 000.
A partire dal 2005, la Commissione ha effettuato vari audit dei sistemi di gestione e controllo predisposti dalle autorità responsabili del POR Sicilia, all’esito dei quali essa ha riscontrato gravi carenze nella gestione e nei controlli dell’intervento finanziario nonché varie irregolarità in diverse operazioni (alcune accertate dall’OLAF – organismo anti frode).
In particolare, sono state accertate irregolarità quali, a titolo esemplificativo:
– operazioni relative a progetti presentati dopo la scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione;
– spese di personale non correlate al tempo effettivamente impiegato per i progetti;
– consulenti esterni privi delle qualifiche richieste;
– giustificativi di spesa insufficienti;
– spese non attinenti ai progetti;
– esecuzione delle attività non conforme alla descrizione dei progetti;
– violazione delle procedure di appalto e di selezione di docenti, esperti e fornitori.
Con decisione C(2015) 9413, del 17 dicembre 2015, la Commissione ha ritenuto che, a causa delle irregolarità singole e sistemiche constatate, il contributo finanziario all’intervento in questione dovesse essere ridotto di un importo totale pari a EUR 379 730 431,94, (di cui EUR 265 811 302,29 a carico del FSE).
Lo Stato italiano ha presentato un ricorso al Tribunale UE, chiedendo l’annullamento della predetta decisione in parte per ragioni sostanziali (quali il travisamento dei fatti e un’asserita violazione del principio di proporzionalità) e in parte per ragioni formali (carenza di motivazione).
Con la sentenza odierna, il Tribunale rigetta integralmente il ricorso dell’Italia, evidenziando come quest’ultima non abbia dimostrato l’erroneità della decisione della Commissione o del procedimento da essa adottato (metodo dell’esame a campione o per estrapolazione, scelta del campione, rispetto del principio di proporzionalità ecc…). Per contro, il Tribunale osserva come sia innegabile l’esistenza di errori sistemici, imputabili a insufficienze nei sistemi di gestione e di controllo del POR Sicilia, che si sono manifestati nel corso di diversi esercizi finanziari e ai quali non è stato posto del tutto rimedio fino alla fine della programmazione.
In proposito, il Tribunale richiama la propria giurisprudenza consolidata in materia di Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) e di FSE. Secondo tale giurisprudenza, spetta alla Commissione provare l’esistenza di una violazione delle norme relative all’organizzazione dei mercati agricoli. Di conseguenza, la Commissione è obbligata a giustificare la decisione con cui constata la mancanza o l’inadeguatezza dei controlli attuati dallo Stato membro interessato. Tuttavia, la Commissione è tenuta non a dimostrare in modo esaustivo l’insufficienza dei controlli svolti dalle amministrazioni nazionali o l’irregolarità delle cifre da esse trasmesse, bensì a presentare un elemento di prova del dubbio serio e ragionevole che essa nutre nei confronti di detti controlli o di dette cifre. Lo Stato membro interessato, da parte sua, per contrastare la Commissione deve dimostrare l’esistenza di un sistema di controlli affidabile e operativo. A meno che esso non riesca a dimostrare che le constatazioni della Commissione sono inesatte, queste ultime costituiscono elementi che possono far sorgere fondati dubbi sull’istituzione di un sistema adeguato ed efficace di misure di sorveglianza e di controllo. Tale temperamento dell’onere della prova di cui gode la Commissione è dovuto al fatto che è lo Stato membro che dispone delle migliori possibilità per raccogliere e verificare i dati necessari per la liquidazione dei conti e che deve, quindi, fornire la prova più circostanziata ed esauriente della veridicità dei propri controlli o dei propri dati nonché, eventualmente, dell’inesattezza delle affermazioni della Commissione.
Il Tribunale rileva, poi, che, considerata la complessità della vicenda, il tempo impiegato dalla Commissione per effettuare i propri accertamenti non è stato irragionevolmente lungo e il principio di buon andamento dell’amministrazione non è stato violato.
Infine, il Tribunale osserva che la motivazione della decisione della Commissione deve essere ritenuta sufficiente non solo perché ha esposto i fatti e le considerazioni essenziali ma anche perché è stata assunta con il pieno coinvolgimento dell’Italia nel procedimento: secondo una giurisprudenza consolidata in materia di fondi strutturali, infatti, la motivazione di una decisione deve essere considerata sufficiente se, come è avvenuto nella specie, lo Stato destinatario è stato strettamente associato al processo di elaborazione di tale decisione e se conosceva i motivi per i quali la Commissione riteneva di non dover imputare al fondo l’importo controverso.