Le novità introdotte dal Decreto legislativo 62/2017, dai decreti Miur nn. 741/2017 e 742/2017 e dalla nota 1865/2017 relativi all’esame conclusivo della secondaria di primo grado e alla valutazione sono state approfondite dalla testata specializzata Tuttoscuola. Dallo studio effettuato, appare evidente che il nuovo assetto normativo intervenuto negli scorsi mesi ha lasciato perplesso più di un addetto ai lavori e, di certo, ha generato molta confusione e non pochi problemi interpretativi, evidenziando una diversità netta di vedute tra Ministero e quanti la scuola la ‘vivono’ quotidianamente.
L’Anief evidenzia, infatti, come l’autonomia scolastica abbia subìto, nel tempo, una sostanziale trasformazione e sia diventata una sorta di esaltazione delle verifiche uniformate e nozionistiche, degradando sempre più verso un progressivo ‘svilimento’ degli Esami di Stato e del titolo di studio, anche a costo di violare quei principi di uguaglianza, ragionevolezza e di efficienza che dovrebbero essere alla base della scuola pubblica italiana. Il trend, infatti, sembra essere quello di concedere sempre più spazio e rilevanza alle verifiche standardizzate dell’Invalsi, l’Istituto nazionale di valutazione, a discapito proprio del valore formativo degli esami conclusivi e del titolo acquisito. Invece di utilizzare i dati Invalsi come strumento di monitoraggio, come sarebbe logico, appare chiaro che questi verranno utilizzati sempre più come indicatori utili alla mera valutazione degli allievi.
Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, spiega che “per certificare le competenze degli studenti occorre puntare sulla valutazione qualitativa che si può ottenere solo attraverso una buona didattica. Investire sulle prove standardizzate, orientate alla mera valutazione di nozioni e non di contenuti di spessore, è una pratica che condurrà a una scuola ‘piatta’ e priva di pregnanza qualitativa”.
Come indicato dalle più moderne teorie docimologiche, infatti, per certificare le competenze degli studenti occorre puntare prima di tutto su una valutazione di particolare importanza che può essere naturale conseguenza solo di una buona didattica, di certo non perseguibile attraverso un mero approccio ‘disciplinare’ dell’insegnamento. È necessario, infatti, l’uso di tecniche e strategie didattiche ed educative obbligatoriamente di tipo attivo, come, ad esempio, giochi di simulazione, cooperative learning and serving, peer education e flipped classroom.
“Molti paesi, invece, compreso il nostro – continua il presidente Pacifico – stanno riformando il sistema educativo principalmente per un motivo economico, con l’intento di formare dei cittadini con il minimo delle competenze che, possibilmente, siano immediatamente spendibili nel mercato del lavoro. Ma come possiamo pensare che questo tipo di formazione sia la strategia vincente se non sappiamo neanche come sarà l’economia mondiale tra due mesi? Il problema è che si continua ad alienare i nostri ragazzi, utilizzando lo stesso modus operandi che poteva andare bene prima della new economy: lo dimostrano i tanti ‘neet’, fenomeno già da tempo evidenziato dal nostro sindacato”.
Il Ministero dell’Istruzione, invece, dal canto suo continua a sostenere che è necessario “alzare gli standard”, elabora norme per “l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali”, creare fantomatici piani triennale di formazione (continua, obbligatoria e strutturata) e poi le nostre scuole devono fronteggiare “piani digitali” senza connessione internet.
Vengono costantemente sviliti il ruolo e le funzioni del docente, ormai trasformato in mero compilatore di questionari e redattore o, addirittura, correttore di prove strutturate per classi parallele in istituti comprensivi che sono diventati delle mere ‘fusioni a freddo’ tra continuo e incessante risparmio economico operato nel settore e ‘semplificazioni’ amministrative.
“Un sistema scolastico non supportato economicamente, con investimenti massicci sulla ricerca di nuovi modelli didattici – conclude il sindacalista – educa ragazzi trasmettendo loro una vera e propria ‘intelligenza cristallizzata’ senza apprendere davvero il valore del pensiero critico e indipendente. Il rischio, invece, è di ottenere una crescita standardizzata ed uniformata, altro che pensiero divergente!”.
L’auspicio, dunque, per l’immediato futuro è che il Miur si impegni a trovare finanziamenti davvero consistenti per le scuole, in modo da ripristinare un livello accettabile per quello che dovrebbe essere il fiore all’occhiello del servizio pubblico in uno Stato di diritto e che, per una volta, pensi a coinvolgere docenti e pedagogisti nell’elaborazione di percorsi didattici e di valutazione, invece di elaborare astruse quanto poco comprensibili ‘riforme’ che con la vera valutazione sembrano avere ben poco a che fare.