Si accavallano le proposte per ridurre l’annoso problema della dispersione scolastica. Il fenomeno è tornato alla ribalta in questi ultimi giorni a seguito dello studio di TuttoScuola che ha puntato il dito sul quel “milione e 750 mila studenti” che “negli ultimi dieci anni”, rispetto ad “oltre sei milioni di studenti iscritti al primo anno delle superiori negli istituti statali, non sono arrivati all’ultimo anno” e quindi non si sono mai diplomati. La rivista specializzata è oggi ritornata sul fenomeno e sulle tante reazioni che si sono riscontrate, anche sul primo quotidiano della carta stampata nazionale, Il Corriere della Sera.
In una disamina sviluppata oggi, Tuttoscuola definisce la dispersione scolastica come “un fenomeno complesso che riunisce in sé: ripetenze, bocciature, interruzioni di frequenza, ritardo nel corso degli studi, evasione dell’obbligo scolastico, completamento dell’obbligo scolastico e formativo senza il raggiungimento del diploma o di qualifica”. L’alto numero di studenti che lasciano i banchi prematuramente è un problema che “si struttura nel tempo attraverso il ripetersi e/o il sommarsi di diversi fenomeni che vanno letti come indicatori di rischio sui quali attivare attenzione ed ascolto”.
“Tra questi – sottolinea la rivista – vanno ricordati: i frequenti trasferimenti e cambiamenti di sede; i ritardi, le assenze ripetute e la frequenza irregolare; le difficoltà di adattamento alle regole, alle richieste e agli orari dell’istituzione scolastica; le difficoltà di relazione dei ragazzi con i pari e con gli insegnanti; le difficoltà di collaborazione con le famiglie; la scarsa partecipazione, il disinteresse, la bassa motivazione dei ragazzi in classe; le difficoltà d’apprendimento, il basso rendimento, l’accumulo di insuccessi; le bocciature e le ripetenze; la disomogeneità anagrafica coi pari”.
Per lo Stato, l’alto numero di abbandoni, ben oltre la soglia del 10% indicata da tempo da Bruxelles, il danno è anche economico: a fronte di un investimento pari a 27 miliardi di euro, il Paese si ritrova ancora con un’alta percentuale di popolazione in possesso della sola licenza media, di cui quasi la metà disoccupati. La situazione non è certo delle migliori poiché, oltre ai danni che la scuola pubblica subisce da questo evento, preoccupa anche la crescente problematica dei “neet”, ragazzi che né studiano né lavorano. Il loro domani non si prospetta certo roseo e delle soluzioni ci sarebbero e devono essere intraprese.
Da anni il sindacato Anief propone delle strade da intraprendere, ma purtroppo Miur e Governo non vi danno seguito. Innanzitutto sarebbe necessario alzare l’obbligo scolastico a 18 anni di età; in questo modo, i ragazzi starebbero nelle aule scolastiche fino alla maggiore età, limite che potrebbe responsabilizzarli sulle scelte future. Inoltre, sarebbe necessario anticipare l’ingresso delle giovani leve nei nostri istituti scolastici: anticipare di un anno l’inizio della scuola dell’obbligo, con l’avvio di un’annualità ‘ponte’, renderebbe anche meno traumatico il passaggio dall’infanzia alla primaria, con maestre di entrambi gli ambiti, in compresenza.
Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, sostiene che “è giunta sicuramente l’ora di introdurre l’obbligo fino a 18 anni come previsto dall’ex Ministro Luigi Berlinguer. Contemporaneamente, occorre anche potenziare i percorsi di alternanza scuola–lavoro. Così come appare necessario adeguare gli organici del personale, a partire da quelli dei docenti, ai bisogni del territorio, tener conto del tasso di disoccupazione e quindi di abbandono scolastico. Allo stesso modo, vanno maggiormente tutelate le zone più a rischio, ad alto flusso migratorio o geograficamente isolate nonché potenziare i CPIA, attraverso i quali si sviluppa lo studio per gli adulti e per l’educazione permanente”.