
Qualche settimana fa ho incontrato al MIT il professore emerito Bruno Coppi, uno dei maggiori scienziati di fisica nucleare e di energia al mondo. Coppi vive da oltre sessanta anni negli Stati Uniti, al MIT è stato nominato professore ordinario nel 1968.
- Caro professore, noi ci siamo conosciuti all’Ambasciata italiana di Washington quasi venti anni fa, nel 2006. Era un’epoca completamente diversa?
- Assolutamente sì. Su impulso dell’allora ambasciatore Italiano a Washington, Giulio Terzi, e insieme alla Casa Bianca e al dipartimento dell’Energia si era arrivati a concludere un accordo e a ottenere i necessari finanziamenti che impegnavano l’Italia, gli Stati Uniti e la Russia a sviluppare una linea di ricerca nel campo della fusione nucleare che è tuttora la più promettente. Questa linea era stata aperta al MIT con il progetto Alcator e poi progredita sia al MIT che in Italia.
Attualmente le tecnologie avanzate introdotte nel campo della fusione con questa linea (e la ricerca di fisica su cui è basata) sono adottate nei maggiori progetti avviati negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Cina. Non abbiamo, invece, notizie recenti dalla Russia su questo tema. A questo proposito, desidero ricordare la lunga e fruttuosa cooperazione scientifica con il grande fisico russo Eugeny Velikov, già vice presidente dell’Accademia delle Scienze dell’URSS scomparso il 5 dicembre dell’anno scorso, con cui abbiamo tante volte discusso e trattato anche di disarmo nucleare. Purtroppo l’involuzione del Cremlino – per non parlare dell’invasione dell’Ucraina – hanno interrotto completamente i rapporti tra scienziati russi e americani: un dialogo fondamentale per il mantenimento della pace. Sarebbe interessante capire come riprendere il filo tra scienziati in un mondo lacerato da tante guerre come é quello in cui stiamo vivendo.
Sul piano della fusione nucleare ci sono stati progressi da allora?
Ho fatto il punto sul “futuro dell’energia e sull’energia del futuro” con il prof. Mario Baldassarri, illustre economista, ad Ancona l’autunno scorso quando sono stato invitato a tenere una Lectio Magistralis per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Istituto Adriano Olivetti.
Secondo la documentazione raccolta per la presentazione di Ancona, nel 2050 non saremo preparati a produrre l’energia elettrica necessaria evitando i pericolosi livelli di emissione associati ai combustibili fossili. Occorre quindi accelerare la ricerca e la sperimentazione sulla fusione nucleare perché ci aspettiamo che essa offra nuove prospettive e nuove linee di azione.
I progetti di fusione per uso civile hanno avuto sin dall’inizio molti nemici perché toccano interessi molto forti sul piano dell’ industria energetica. Questo non è stato il caso per la ricerca sulla fusione nucleare con fondi “protetti” da una gestione militare. Infatti, grazie a questa gestione, il progetto National Ignition Facilty ha avuto successo, avendo raggiunto in laboratorio il traguardo dell’accensione per reazioni di fusione. L’obiettivo dell’accensione da provare in laboratorio è stato elaborato ben prima (a partire dagli anni Settanta) con il programma Ignitor sulla base dei successi dei programmi Alcator al MIT negli USA e il successivo Torus in Italia a Frascati.
In Europa e in Italia non hanno giovato gli errori del passato, come quelli di non aver valutato correttamente i limiti del progetto internazionale ITER in Francia, sostenuto dalla Commissione europea. La missione della macchina IGNITOR, la prima del suo genere ad essere completamente progettata per dimostrare la fattibilità scientifica di un reattore a fusione capace di produrre energia utilizzabile resta valida e necessaria: spero che al più presto si avvii la sperimentazione, che purtroppo l’Italia in passato non è stata in grado di implementare.
Ci sono altri paesi interessanti, oltre agli Usa e alla Francia?
La Cina, la Germania e il Regno Unito stanno facendo dei passi avanti significativi con i loro nuovi progetti.
Un altro aspetto che desidero segnalare è che oggi si sta lavorando alla linea dei reattori ibridi (che uniscono processi di fissione e fusione) dopo che nel 2019 E. Velikov ed il sottoscritto ne avevamo indicato la fattibilità basata per la parte fusione sui risultati della macchina Alcator. È molto recente la notizia che la Cina ha stanziato fondi per finanziare il primo reattore ibrido.
Sono invece piuttosto scettico sulle non realistiche caratteristiche attribuite a tutti i cosiddetti “mini reattori” a fissione, a partire dai costi. Ma sono invece decisamente favorevole alla realizzazione di quelli costruibili con caratteristiche prevedibili e promettenti.
E in questo scenario quale potrebbe essere il ruolo dell’Italia?
Le ricerche sulla fusione in Italia sono state all’avanguardia grazie alla efficace collaborazione internazionale (con il MIT in particolare) e all’alto livello dell’industria elettromeccanica italiana. Tuttavia, nel 2017 sono iniziate azioni distruttive con il sostegno dell’allora direttore francese di ITER e le seguenti decisioni del MIUR.
A livello internazionale si è sviluppata recentemente una molteplicità di iniziative indipendenti con lo scopo di produrre reattori a fusione in tempi molto più rapidi di quelli previsti in particolare rispetto alla linea di ricerca sostenuta da Bruxelles o da altri enti governativi che operano nella stessa direzione. In questo nuovo contesto, una iniziativa importante è quella promossa dal gennaio scorso in Lombardia. Agli incontri partecipano i migliori esperti del settore e il presidente Fontana ha avuto anche l’incoraggiamento del presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Certo, le difficoltà in Italia non nascono oggi. La ricerca scientifica non è mai stata al centro della politica italiana, come ho anche avuto modo dire durante miei incontri con Silvio Berlusconi, Romano Prodi, Giuliano Amato e Mario Draghi. Oggi lo sviluppo scientifico e tecnologico è il fattore fondamentale per il futuro di una nazione. Nei panni del presidente del Consiglio, formerei un comitato ristretto di scienziati (i migliori talenti sia italiani che a livello mondiale) che aiuti il governo a disegnare l’Italia del futuro. Senza un quadro di riferimento per i prossimi 10- 15 anni non si può governare perché manca la bussola.
(articolo pubblicato su Starmag)
Marco Mayer, docente Master di Cybersecurity della Luiss e al Master su Difesa e Sicurezza dell’Università di Palermo – collaboratore Aduc
Master di Cybersecurity della Luiss e al Master su Difesa e Sicurezza dell’Università di Palermo