
Nel Lazio 6 Asl su 10 hanno definito un percorso di diagnosi e cura integrato con i fondi del Piano nazionale demenze ma serve una cabina di regia per omogeneizzare l’offerta e potenziare la diagnosi tempestiva. il vero obiettivo è rafforzare la collaborazione tra i diversi attori del percorso diagnostico. Medici di medicina generale, geriatri, neurologi, medici nucleari e neuroradiologi sono parte integrante di un team multidisciplinare essenziale per riconoscere precocemente i sintomi, garantire una diagnosi accurata e prendere in carico in modo efficace il paziente. Rimangono nodi da affrontare, come il numero ancora insufficiente di centri prescrittori, lo sviluppo delle nuove tecnologia diagnostiche (come i biomarcatori liquorali e plasmatici) e l’assenza di una regia unitaria in grado di armonizzare l’offerta diagnostico-terapeutica. Sullo sfondo, l’impegno del governo a proseguire su questa strada e il previsto raddoppio del Fondo nazionale demenze nel prossimo triennio.
Alzheimer, demenze e disturbi neurocognitivi: la disponibilità di nuove tecniche diagnostiche basate su biomarcatori (sangue, liquor, neuroimaging) e l’arrivo di nuovi farmaci biologici e immunoterapici a bersaglio molecolare mirati sulla proteina Amiloide e Tau – già in uso negli Stati Uniti e prossimi all’utilizzo in clinica sia in Europa sia in Italia, capaci di modificare il profilo di evoluzione della malattia se attuata nelle fasi precoci – pongono la necessità di accendere i fari sull’assetto organizzativo delle reti di cura per le demenze nelle Regioni del nostro Paese e di identificare e proporre modelli funzionali adeguati ai fabbisogni dei malati. Questi ultimi a fronte di 48 milioni di persone colpite nel mondo sono stimati in circa 600 mila in Italia ma quasi la metà di essi sfugge a percorsi di diagnosi e cura.
Una road map del disturbo neurocognitivo nelle regioni italiane è stata tracciata da Motore Sanità che, nella tappa svolta nei giorni scorsi a Roma, ha acceso i fari sulla situazione assistenziale nella Regione Lazio: qui sono circa 100 mila i pazienti affetti da demenza di Alzheimer e su dieci aziende sanitarie locali solo 6 hanno adottato il Pdta previsto dal Piano nazionale demenze impiegando i fondi stanziati nel triennio 2021-2023 ma l’accesso alla diagnosi e alla cure è ancora disomogenea riguardo alla presa in carico dei pazienti e occorre una forte regia nelle strategie di definizione del percorso della diagnosi e delle cure. Va inoltre potenziata e integrata l’offerta assistenziale tra centri di I, II e III livello in un quadro generale fatto di luci e ombre in cui è ancora poco praticato lo screening nelle fasce di popolazione a rischio sebbene siano maturate negli anni alcune realtà di eccellenza, sia nei livelli periferici delle cure sia nelle strutture centrali.
“In Italia – ha sottolineato Claudio Zanon, direttore scientifico di Motore Sanità – è necessaria una riorganizzazione rapida dei percorsi assistenziali per passare dalle parole ai fatti. Nonostante la conoscenza della malattia ed il rumor mediatico per i disturbi neurocognitivi e l’Alzheimer si sconta ancora un eccessivo ritardo diagnostico, un inappropriato uso del neuroimaging e un sottoutilizzo dei biomarcatori”. Sotto i riflettori il ruolo della medicina del territorio e dei Centri di riferimento, le spese evitabili e gli investimenti necessari alla luce delle nuove opportunità di diagnosi e cura. Queste ultime, se applicate appropriatamente, potrebbero cambiare la storia clinica di molti pazienti e avere un impatto sociale ed economico significativo. Il dato positivo proviene dal raddoppio del Fondo demenze per il triennio 2024-2027 con 35 milioni di euro messi nel piatto delle regioni dal Governo con l’ultima legge di Bilancio. In Italia oltre 1,2 milioni di persone sono colpite da disturbi neurocognitivi e il 60% sono affetti da Alzheimer ma le proiezioni epidemiologiche parlano di 2,3 milioni di pazienti nei prossimi anni. Migliorare i piani di supporto alle cure, affinare le strategie di diagnostiche e terapeutiche precoci, passare da una componente clinico sociale ad un maggiore impegno clinico, migliorare la qualità di vita, rendere sostenibile l’innovazione e affrontare i costi socioassistenziali sono le sfide poste dall’arrivo sulla scena dei nuovi farmaci.
Non mancano le complessità come illustrato in una lunga disamina scientifica da Camillo Marra, ordinario presso il Dipartimento di Neurologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Milano: “Fino a 5 anni fa in assenza di diagnosi biologica ci si basava su criteri clinici – ha sottolineato – ma non c’era menzione della fisiopatologia sottesa. Oggi lo scenario è cambiato radicalmente e ogni intervento terapeutico è poco efficace se non si interviene precocemente. Da qui la necessità di intercettare i cambiamenti biologici e i sottili mutamenti cognitivi nelle fasi precoci di malattia (MCI) rilevati dall’investigazione cognitiva e di neuroimaging, quando ancora non ci sono modifiche comportamentali sostanziali. Ma ci stiamo spostando ulteriormente alla fase preclinica quando il danno al neurone non c’è ancora ma sappiamo che non tutte le situazioni in cui emerge un dato biologico relativo all’Amiloide e alla Tau evolverà verso la malattia”.
Antonio Aurigemma presidente del Consiglio regionale del Lazio ha ricordato la legge approvata di recente in Aula sui Care-giver su cui occorre appostare nuove risorse. Luisa Bartorelli, Geriatra dell’Associazione Alzheimer Uniti Italia ha acceso i fari sul ruolo delle associazioni e dei volontari. Giuseppe Bruno, associato al dipartimento Neuroscienze della Sapienza e dirigente medico al Policlinico Umberto I di Roma ha ricordato l’importanza delle dotazioni di personale formato e qualificato per anticipare il percorso diagnostico e gestire la clinica a fronte delle carenze attuali.
Non è solo una questione di fondi per l’accesso alle migliori cure dell’Alzheimer ma anche di ottimizzazione dei percorsi laddove oggi le competenze lavorano come monadi con livelli non integrati. Silvia Scalmana, dirigente presso la direzione regionale Salute e Integrazione Socio Sanitaria della Regione Lazio ha tracciato il quadro della situazione rispetto all’implementazione del Piano nazionale demenze. “Nel Lazio ci sono 100 mila pazienti con demenza – ha ricordato – di cui il 43% è in carico a uno dei 36 centri di diagnosi e cura (Cdcd). Di questi 22 sono diagnostici specialistici e 14 territoriali dotati di articolazioni organizzative e ambulatoriali satelliti. Nel 2022 è stato costituito un gruppo di lavoro regionale per il Pdta di cui fanno parte 40 esponenti tra cui medici di famiglia, specialisti, personale sanitario, infermieri e assistenti sociali, riabilitatori, Società scientifiche che hanno definito una rete per la presa in carico per ogni fase. I Pdta, adottati dalle Asl sono 6 su 10, presentati nel 2023 prevedono anche indicatori di risultato, processo ed esito con 6 indicatori che vanno dalla incidenza di mortalità alla presenza dell’intervento riabilitativo. Il budget stanziato nel triennio fino al 2023 è di 1,4 milioni di euro, saliti a 2,5 milioni per i prossimi tre anni. Il Lazio, pur in piano di rientro, ha di recente vinto il primo premio al forum nazionale Salute per il Modello di cure proposto”.
Giuseppe Quintavalle, direttore Generale Asl Roma 1 e Vicepresidente FIASO non ha fatto mancare il proprio contributo con un intervento registrato mentre Gaetano Marrocco, delegato Simg Frosinone ha ricordato che in 4 mesi la sua unità di cure primarie ha inviato mille persone alla attenzione del Cdcd nel distretto di Cassino di cui circa 300 presi in carico. Un risultato notevole su un’area di 100 mila abitanti. Un enorme lavoro. ha sottolineato Enrico Rossi che da ex presidente di Regione fa oggi parte dell’Osservatorio Innovazione di Motore Sanità: “Le nuove terapie hanno bisogno di una struttura specialistica competente per l’erogazione e e strumentazioni adeguate oltre che personale. Un Pdta non può funzionare se non individua il centro specialistico con determinate caratteristiche per erogare la prestazione. È responsabilità della politica assicurare le cure a chi può giovarsene, ma è chiaro che un centro certificato farà sempre meglio nel tempo il proprio lavoro e non tutti devono fare terapia ma tutti i malati accedere alla prevenzione, cura e riabilitazione per modificare la progressione della degenerazione cognitiva. Spazio anche alla ricerca chiamata a fare luce sulla popolazione che pur avendo l’amiloide non si ammala integrando l’Intelligenza artificiale”.
Quindi è stata la volta di Alessandro Martorana, presidente SINdem (Associazione autonoma aderente alla Sin per le demenze) Sezione Regionale del Lazio per ricordare l’importanza delle competenze di Geriatri e Neurologi che si occupano di demenza: “Sono pochi ma in un Cdcd pochi fanno la diagnosi biologica e il 65% non potrà fare il farmaco”.
Tra gli interventi quello di Francesco Motolese, Neurologo dottorando in Scienze Neurologiche al Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma. “Effettuare una diagnosi biologica è complicato solo una figura specialistica è in grado di farlo”. Quindi gli interventi di Alessandro Martorana, Presidente SINdem (Associazione autonoma aderente alla SIN per le demenze) Sezione Regionale del Lazio e Laura Tafaro geriatra AOU Sant’Andrea Facoltà di Medicina e psicologia Sapienza Università Roma, presidente sezione regionale Società di Geriatria che ha ricordato i nodi dei centri prescrittori che escludono i geriatri dalla somministrazione di farmaci di II livello. “Non bisogna abbandonare i pazienti con forme moderate e gravi di malattia – ha sottolineato – spetta al medico valutare la complessità e appropriatezza. Nella Asl Roma 1 ci sono 23 pazienti ma nemmeno un centro territoriale. Perché così pochi centri? Noi curiamo anche disturbi comportamentali. e non possiamo prescrivere anche farmaci che costano poche decine di euro”.
I LIVELLI LEGISLATIVI
Un quadro generale tracciato in tutta la sua complessità, da stringere nella cornice degli aspetti organizzativi e delle linee guida concluso da Annarita Patriarca, onorevole della Camera dei Deputati che ha ricordato l’attenzione del Governo per i disturbi neurocognitivi con il raddoppio del fondo nazionale (salito a 35 milioni nel triennio) rispetto al triennio precedente. “Prevenzione e cure di qualità e sistema di supporto domiciliare e care giver gli assi delle nostre azioni dopo lo stop della pandemia. Occorre ripartire per riavviare una cultura della prevenzione – ha sottolineato – la scienza ha fatto passi da gigante, oggi ci sono farmaci per Alzheimer di cui qualche anno fa non avevamo nemmeno la speranza. Dobbiamo farci trovare pronti, i nuovi farmaci non sono facili da somministrare ma sono la luce fuori dal tunnel. La politica non può restare indietro: le Regioni e il Governo troveranno i modi per somministrare questi farmaci a chi ne ha bisogno senza dimenticare le proposte di legge sul Care Giver. Siamo pronti ad ascoltare e questi convegni consentono di farlo. Fondamentale è migliorare la governance del sistema. La ricerca pone numerose sfide e l’innovazione tecnologica è la strada da seguire in fase iniziale a cui affiancare la riabilitazione cognitiva per contrastare l’evoluzione. Una stretta collaborazione tra Governo e Regioni utile per una tempestiva presa in carico integrata e multidisciplinare”.