È la malattia dai mille volti che si mimetizzano e ha colpito di recente il noto fotografo Oliviero Toscani: è l’amiloidosi cardiaca. Ottimizzare l’assistenza dei pazienti, superare il ritardo diagnostico, migliorare la sopravvivenza e ridurre il danno al cuore, oggi è però possibile, grazie al primo documento di consenso per la gestione e presa in carico dei pazienti e all’arrivo previsto nel 2026 del primo farmaco in grado di “spegnere” il gene che causa un accumulo anomalo di proteine, alla base della malattia.
L’Italia fa così passi in avanti nella diagnosi e nella cura dei pazienti con questa patologia genetica rara, debilitante e solitamente fatale, associata a ritardi nella diagnosi fino a 4-5 anni che pesano in modo significativo sulla prognosi dei pazienti. Il documento di consenso realizzato dalla Società Italiana di Cardiologia (SIC) e dall’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO), appena pubblicato sul Giornate Italiano di Cardiologia, è stato presentato in occasione dell’85esimo congresso nazionale della SIC, in corso a Roma fino a domani.
“Con questa pubblicazione basata sulle linee guida internazionali, nasce la prima rete italiana e il primo PDTA nazionale, che ne è il braccio operativo, dedicato all’amiloidosi cardiaca, per garantire l’accesso alle cure in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale – dichiara Gianfranco Sinagra, presidente eletto SIC e direttore della scuola di specializzazione e della struttura complessa di Cardiologia dell’Università di Trieste –. Il documento chiarisce, in particolare, e che sono posti a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN): i trattamenti sanitari, già previsti dai LEA o qualificati salvavita, compresi in ambito di diagnosi, anche gli accertamenti genetici sui familiari, le prestazioni correlate al monitoraggio clinico, le terapie farmacologiche, anche innovative, le cure palliative, le prestazioni di riabilitazione e i percorsi assistenziali territoriali”.
“Le difficoltà che si incontrano nell’individuare tempestivamente la malattia e il ruolo centrale del cardiologo, ha gettato le basi per la creazione del documento ‘Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali per i pazienti con amiloidosi cardiaca’ – aggiunge Pasquale Perrone Filardi, Presidente della Società Italiana di Cardiologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in malattie dell’apparato cardiovascolare dell’Università Federico II di Napoli –. Il documento di consenso costituisce uno standard nazionale al quale poter fare riferimento per superare le principali criticità legate alla grande eterogeneità delle realtà sanitarie regionali, alla mancanza di specifiche strutture in molti centri (es. anatomia patologica, genetica, proteomica, ma anche immunofissazione e catene leggere libere), alla subottimale collaborazione tra territorio e centri di riferimento, alla difficoltà nella pratica clinica di realizzare una reale presa in carico globale e multidisciplinare, alla difficoltà di concentrare in un singolo centro un numero di pazienti sufficiente per acquisire esperienza e competenza gestionale clinica. Il PDTA consentirà la condivisione e il confronto di esperienze e promuoveranno appropriatezza, buone pratiche cliniche ed equità”.
“L’amiloidosi cardiaca è una malattia rara, causata da una mutazione nel gene transtiretina che comporta un accumulo di proteine anomale configurate come fibrille amiloidi, in più organi, incluso il cuore, che è tra i distretti più colpiti, con progressiva perdita della sua funzionalità – spiega Giuseppe Limongelli, U.O. Malattie rare cardiovascolari dell’Ospedale “Monaldi” di Napoli e direttore del Centro di coordinamento malattie rare della Regione Campania -. A causa dei sintomi non specifici della malattia e per la possibilità di sovrapporsi ad altra cardiomiopatie, la diagnosi di questa rara e complessa patologia può diventare un’odissea. Dall’insorgenza della malattia, alla sua corretta individuazione, possono passare fino a oltre 4 anni e, di conseguenza, la somministrazione delle terapie inizia in ritardo con un impatto molto significativo sulla prognosi”.
Oggi l’amiloidosi cardiaca da transtiretina può essere affrontata con maggior successo. Attualmente esiste già un farmaco RNA interferente approvato in maniera specifica per contrastare i danni cardiaci da amiloidosi. La molecola si chiama patisiran, già disponibile anche in Italia, stabilizza la proteina transtiretina, in modo tale da prevenire la formazione di depositi amiloidi nel cuore. Ma nel trattamento della malattia potrebbe presto aggiungersi un nuovo farmaco. “È il vutrisiran, molecola già autorizzata in Italia per il trattamento dell’amiloidosi neuropatica, ma non ancora approvata per la cardiomiopatia associata e che potrebbe essere introdotta nel 2026 – commenta Gianfranco Sinagra -. Il nuovo farmaco, somministrato per via sottocutanea e basato sulla tecnologia dell’RNA interferente, silenzia il gene chiave della malattia, bloccando la sintesi della proteina prima che venga prodotta. In base ai risultati dello studio HELIOS-B, vutrisiran riduce il rischio di mortalità e migliora la qualità di vita dei pazienti, offrendo una valida alternativa a coloro che non rispondono ai trattamenti attuali”, conclude Pasquale Perrone Filardi.