La sanità del post-COVID, sospesa tra il Recovery fund, da spendere, e la margherita del Mes, da sfogliare ha archiviato – denuncia l’Anaao Assomed – gli angeli e gli eroi, quei “medici che nell’emergenza hanno fatto un lavoro straordinario”, per dirla con Mario Draghi.
Il personale, medico soprattutto, del SSN, ”il nostro bene più grande” secondo il Ministro Speranza, è scomparso dal radar della politica del cambiamento, insieme con il burnout che lo spinge alla fuga dall’ospedale, verso l’estero i giovani e verso il privato i meno giovani. Frustrato ed insoddisfatto, numericamente carente, mal pagato, demotivato, stressato ed oberato di attività cartacea, continua a vivere in pessime condizioni di lavoro, cui l’emergenza pandemica ha dato il colpo di grazia amplificandone oltre ogni misura il disagio.
Ma il Governo sembra ignorarne ruolo e malessere, anche nel cantiere di proposte con le quali prova ad andare al di là della lista della spesa. Lo scatto che oggi serve alla sanità è, invece, la valorizzazione del suo capitale umano attraverso una profonda innovazione dell’organizzazione e della governance del sistema.
Per i dirigenti sanitari del SSN, tramontata la retorica, tutto sarà peggio di prima se la rivoluzione copernicana, di cui parla il Ministro, non parte da un Piano Marshall dedicato, una svolta in sette punti:
1. migliorare le condizioni del lavoro ospedaliero e ricostruire un sistema che privilegi, anche per la carriera, i valori professionali rispetto a quelli organizzativi e aziendali;
2. aumentare le retribuzioni, detassando gli incrementi contrattuali e il salario accessorio, compensando il rischio contagio, incrementando il valore del rapporto esclusivo;
3. attribuire un nuovo stato giuridico alla dirigenza sanitaria, nel segno della dirigenza “speciale”, e riconoscere il loro ruolo peculiare attraverso forme di partecipazione ai modelli organizzativi ed operativi;
4. introdurre il contratto di formazione/lavoro per gli specializzandi e riformare la formazione post laurea, divenuta vera emergenza nazionale, terreno di coltura per il neocolonialismo delle Scuole di medicina nei confronti del mondo ospedaliero;
5. attuare politiche di assunzioni che recuperino i tagli del passato, come ci chiede la UE, escludano il precariato, eterno e non contrattualizzato, e riducano la eterogeneità nei rapporti di lavoro ospedaliero;
6. completare la legge sulla responsabilità professionale con il passaggio ad un sistema “no fault” sul modello europeo;
7. assumere il contratto di lavoro come strumento di innovazione del sistema e di governo partecipato.
Una politica senza visione, e senza attenzione per i professionisti sanitari, che confidi solo nei bassi salari e negli strumenti della cultura aziendalistica, è destinata ad affossare il (fu) sistema sanitario (nazionale) migliore del mondo.
“Servono idee e un radicale cambiamento di paradigma sul ruolo e sullo status dei Medici e dei dirigenti sanitari, che sono strategici nello sviluppo di un sistema complesso come quello sanitario. Dove il capitale umano conta quanto e più di quello economico. Lavorare in ospedale non deve essere una sofferenza perché il disagio crescente dei professionisti, sommandosi alla crisi di fiducia dei cittadini a fronte della montagna di prestazioni negate, mina la sostenibilità del sistema sanitario, quali che siano le risorse investite”.
“È tempo di comprendere – conclude l’Anaao Assomed – che il lavoro dei medici ospedalieri e dei dirigenti sanitari reclama, oggi e non domani, un diverso valore, anche salariale, diverse collocazioni giuridiche e diversi modelli organizzativi, che riportino i medici, e non chi governa il sistema, a decidere sulle necessità del malato. Il futuro della sanità può nascere solo da un impegno collettivo, da un confronto e un dialogo con le istituzioni per condividere un progetto comune. Noi siamo pronti”.