Se padri non si riesce a diventare l’infertilità della coppia nella metà dei casi dipende anche da fattori maschili che nel 30% dei casi sono ritenuti gli unici responsabili. L’Italia sta perdendo la prossima generazione ed è riuscita a battere un altro record negativo con poco più di 400.000 nati nel 2020, in calo del 30% negli ultimi 10 anni.
Le cause del fenomeno della denatalità sono da ricercarsi in diversi ambiti, ma in quello sanitario un ruolo importante riveste il crollo della fertilità maschile, preservarla e proteggerla può servire a invertire la rotta del declino demografico.
“Il calo delle nascite in Italia va di pari passo con l’aumento dell’infertilità maschile che negli ultimi 30 anni è raddoppiata e oggi sono circa due milioni gli italiani che rischiano di essere ‘mancati’ papà – spiega Alessandro Palmieri, presidente SIA – Alcol, fumo, obesità e sedentarietà ma anche le diagnosi tardive di infezioni come il varicocele, sono tutti fattori che stanno compromettendo la fertilità, su cui incide anche il riscaldamento globale. La pandemia – commenta preoccupato Palmieri – ha ulteriormente aggravato il quadro, scoraggiando visite e controlli dall’andrologo e frenando il ricorso a procedure di conservazione dei gameti. Secondo l’ultima relazione ministeriale sulla legge 40, presentata a gennaio scorso, sono 1.300 i bimbi in meno nati nel 2020 da procedure assistite a basso grado di tecnologia e 7 centri italiani PMA su 10 durante la pandemia hanno sospeso la loro attività. In una situazione di declino demografico intraprendere un corretto percorso di diagnosi e cura delle cause maschili dell’infertilità – sottolinea l’esperto – potrebbe servire a frenare il calo delle nascite ed evitare PMA inutili o quantomeno ridurre significativamente la percentuale di insuccesso delle procedure. Per questo è necessario sensibilizzare e aumentare l’informazione cosi che gli uomini possano rivolgersi con fiducia all’andrologo” conclude Palmieri.