ATROFIA GEOGRAFICA, EMA BOCCIA L’UNICO FARMACO A DISPOSIZIONE. APPELLO DELLE ASSOCIAZIONI PAZIENTI “EMA CI RIPENSI”

Per mesi i pazienti con atrofia geografica hanno aspettato fiduciosi che l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) facesse il primo passo per portare in Europa il primo e unico farmaco sviluppato contro la loro grave forma di maculopatia degenerativa. Sembrava dovesse essere solo una formalità, visto che la Food and droug administration (FDA), l’agenzia regolatoria americana, aveva già dato il suo ok lo scorso anno.

In realtà, poco prima dell’estate il Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell’EMA ha espresso parere negativo sulla domanda di autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco intravitreale pegcetacoplan. Decisione, questa, che ha lasciato sgomenti i 2,4 milioni di pazienti che convivono con una ‘cartina geografica’ nell’occhio, una malattia progressiva contro la quale non c’è alcuna terapia né per curarla e né per rallentarla. A dare voce alla delusione di questi pazienti nella speranza che l’EMA riconsideri la sua decisione è l’Associazione Pazienti Malattie Oculari (APMO). 

“E’ incomprensibile il motivo per cui l’EMA ha ritenuto di scartare la possibilità di autorizzare l’unica opzione terapeutica possibile per i pazienti con atrofia geografica, una patologia oculare degenerativa che porta alla perdita della vista in maniera irreversibile – commenta Michele Allamprese, Direttore Esecutivo Associazione Pazienti Malattie Oculari (APMO) -. Questo può compromettere gravemente l’indipendenza e la qualità della vita dei pazienti, rendendo difficile la partecipazione alle attività quotidiane”.

L’atrofia geografica è una forma avanzata di degenerazione maculare senile ed è la prima causa di cecità irreversibile in età avanzata nei paesi industrializzati. Si stima colpisca 5 milioni di persone nel mondo. “A causa di questa malattia, i fotorecettori, che sono cellule fotosensibili, si deteriorano nella macula, una porzione centrale della retina responsabile della visione centrale e della percezione dei colori – spiegaFrancesco Bandello, Direttore Dipartimento di Oftalmologia, Università Vita Salute San Raffaele Milano e Presidente APMO -. All’inizio il danno si manifesta con la presenza di piccole areole che si sviluppano poi in aree più grandi. Una persona con degenerazione maculare senile precoce può avvertire problemi con la lettura o la visione notturna. Alla fine, se la malattia progredisce a stadi avanzati, si svilupperanno punti ciechi permanenti al centro del campo visivo”.

La causa dell’atrofia geografica è multifattoriale, quindi con fattori di rischio ambientali e genetici. “A giocare un ruolo determinante è la disregolazione della cascata del complemento, una parte importante del sistema immunitario del corpo – dichiara Bandello -. L’eccessiva attivazione della cascata del complemento provoca la distruzione di cellule sane, che può portare all’insorgenza o alla progressione di molte malattie tra cui l’atrofia geografica”. 

Il farmaco pegcetacoplan, approvato come trattamento per l’atrofia geografica negli Usa lo scorso febbraio, è una molecola già nota per il trattamento di una malattia del sangue. “Il farmaco, iniettato per via intravitreale, andrebbe ad inattivare la cascata del complemento C3’, ovvero una serie concatenata di eventi infiammatori responsabili della degenerazione fotorecettoriale – spiega Bandello -. I trial hanno mostrato una regressione delle aree di atrofia retinica a fronte di buoni profili di sicurezza”. Ma se i risultati hanno convinto la FDA, non è stato così per l’EMA lasciando i pazienti europei senza speranza. Di recente Apellis Pharmaceuticals, che produce pegcetacoplan, ha annunciato l’intenzione di sottoporre all’EMA una richiesta di riesame per l’approvazione del farmaco.

“La speranza di medici e pazienti è che l’EMA riconsideri la sua decisione, mettendo al centro i bisogni dei pazienti che potrebbero trarre beneficio dalla disponibilità di pegcetacoplan – conclude Allamprese -. Perché anche se il farmaco non guarisce dalla malattia, oggi incurabile, gli studi indicano che può rallentarne la progressione e migliorare la qualità della vita dei pazienti”.