La libertà di scelta della parte contraente non può essere invocata per giustificare una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale…
Un lavoratore autonomo ha prestato servizi di editing per un’emittente televisiva pubblica polacca per un periodo di sette anni, sulla base di contratti di breve durata conclusi in successione. Nel dicembre 2017 egli e il suo partner hanno pubblicato su YouTube un video musicale natalizio avente come scopo la promozione della tolleranza verso le coppie omosessuali. Poco dopo la pubblicazione di tale video, l’emittente televisiva ha comunicato al lavoratore lo scioglimento del suo contratto, informandolo che non sarebbe stato stipulato un nuovo contratto.
Ritenendo che l’emittente televisiva avesse adottato tali decisioni in ragione del suo orientamento sessuale, il lavoratore autonomo ha adito il Tribunale circondariale della città di Varsavia-capitale con un’azione per il risarcimento dei danni. Tale giudice polacco ha chiesto alla Corte di giustizia, in sostanza, se la direttiva quadro per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro [1] sia applicabile a tale fattispecie e, quindi, osti alla normativa polacca che consente di rifiutare la stipulazione di un contratto con un lavoratore autonomo in ragione del suo orientamento sessuale.
Nelle sue odierne conclusioni, l’avvocato generale Tamara Ćapeta considera che la direttiva si applica al rifiuto di stipulare un contratto con un lavoratore autonomo in ragione del suo orientamento sessuale. Ella chiarisce, inoltre, che la libertà di scegliere una parte contraente non può essere utilmente invocata per giustificare una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale.
In primo luogo, la direttiva fa espresso riferimento alle condizioni di accesso al lavoro, sia dipendente che autonomo. L’avvocato generale ricorda che, disciplinando il settore dell’«occupazione e delle condizioni di lavoro», la direttiva mira a consentire ai cittadini di esprimere le loro potenzialità e di guadagnarsi da vivere offrendo il proprio lavoro. Ciò che rileva ai fini dell’applicazione di tale direttiva è che una persona svolga un lavoro personale, indipendentemente dalla forma giuridica in cui tale lavoro è svolto.
Per tale ragione, l’avvocato generale ritiene che la fornitura di beni e servizi non possa essere esclusa dalla nozione di «lavoro autonomo» qualora il prestatore di servizi offra il suo lavoro personale al fine di guadagnarsi da vivere.
In secondo luogo, l’avvocato generale considera che le «condizioni di accesso al lavoro autonomo» comprendano circostanze o fatti la cui esistenza deve essere imperativamente dimostrata affinché una persona possa ottenere un determinato lavoro come lavoratore autonomo. A tale riguardo, l’avvocato generale sottolinea che, qualora il potenziale beneficiario dei servizi di un lavoratore autonomo condizioni l’accesso a un lavoro al fatto che il prestatore non sia omosessuale, una persona con detto orientamento sessuale non potrà ottenere tale specifico lavoro.
Di conseguenza, il rifiuto di stipulare un contratto individuale di servizi con un lavoratore autonomo in ragione del suo orientamento sessuale rientra nell’espressione «condizioni di accesso al lavoro autonomo».
Inoltre, l’avvocato generale sottolinea che, nelle circostanze del caso in esame, non trova applicazione soltanto la disposizione della direttiva che fa riferimento alle «condizioni di accesso al lavoro autonomo» per il lavoratore autonomo interessato, ma anche la disposizione concernente la cessazione del rapporto contrattuale in ragione del suo orientamento sessuale.
In terzo luogo, l’avvocato generale ritiene che la direttiva osti alla normativa polacca che consente agli operatori economici di prendere in considerazione l’orientamento sessuale ai fini della scelta della parte contraente. Non essendo necessaria per tutelare le libertà altrui in una società democratica, tale normativa non rientra fra le possibili eccezioni a tale direttiva.
L’avvocato generale sottolinea che la libertà di scegliere una parte contraente può essere legittimamente limitata al fine di tutelare altri importanti valori di una società democratica, quale la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. La direttiva tutela specificamente tale valore, senza incidere sul contenuto essenziale della libertà di scegliere la parte contraente. In particolare, gli operatori economici conservano la libertà di scegliere la persona più adatta per un determinato lavoro sulla base di motivi che sono pertinenti ai fini del lavoro in questione.
La direttiva, inoltre, è conforme ai requisiti di proporzionalità, poiché è adeguata e necessaria al raggiungimento dell’obiettivo di una società libera da discriminazioni fondate su motivi vietati nell’ambito dell’occupazione e delle condizioni di lavoro. L’uguaglianza a cui aspira la direttiva può essere realizzata soltanto nel caso in cui nessuno di coloro che necessitano e ricercano il lavoro altrui prenda in considerazione le caratteristiche vietate dalla direttiva.
Poiché la direttiva non limita in modo sproporzionato la libertà contrattuale, l’avvocato generale sottolinea che il giudice del rinvio è tenuto a disapplicare la normativa polacca di cui trattasi, poiché essa osta all’esercizio del diritto, garantito dalla direttiva, di non essere discriminati in ragione dell’orientamento sessuale.
[1] Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16).