BANCHE E TERRITORIO: TRA ABBANDONO E OPPORTUNITÀ

Quale dovrebbe essere il ruolo del sistema finanziario per valorizzare le risorse e supportare lo sviluppo del territorio. A chiederselo è la First Cisl di Messina, la federazione dei lavoratori delle banche, delle assicurazioni e della finanza, analizzando i dati di uno studio che evidenzia come il trimestre scorso sia stato migliore sia per le esportazioni che per il mercato interno, ma «nonostante questo – afferma Antonio Mangraviti Segretario Generale della First Messina – la situazione della Sicilia e di Messina rimane critica sia sul versante della produzione che su quello della disoccupazione, soprattutto giovanili.

 

I numerosi piani industriali, con la conseguente numerosa fuoriuscita di lavoratori, creano un ulteriore danno per l’economia locale in quanto il pur risicato turn over, mediamente di un’assunzione ogni tre colleghi usciti, non avviene sui nostri territori ma al nord. Insomma, anche il sistema finanziario, tranne rare eccezioni, non partecipa alla creazione di lavoro ma alla sua perdita». Dallo studio della First Cisl si rileva come l’abbandono nella nostra comunità sia ben più profondo di quello che accade al Nord.

Negli ultimi otto anni, a livello nazionale, il settore ha perso 44 mila posti: alla fine del 2009 gli occupati erano oltre 330mila, mentre nel 2017 non superavano quota 286mila.

Nel Mezzogiorno, tra il 2009 e il 2017, è stata registrata la maggiore flessione occupazionale, rispetto alla media nazionale.  Il 12,4% di lavoratori in meno contro il 9,3% del dato Italia, pari a oltre 7.000 dipendenti, pur avendo un numero inferiore di istituti di credito, sportelli e dipendenti.

Altro dato che fa riflettere è quello dei comuni “bancati” (dove esiste almeno uno sportello bancario) che non supera nel Mezzogiorno il 56% del totale dell’area mentre nel solo Nord Est si arriva a oltre il 90%. A Messina il dato è ancora più pesante in quanto sono solo 50 i comuni serviti da banche.

Nella nostra provincia dal 2008 al 2017 si è passati da 1649 dipendenti a 1117 con una diminuzione di 532 dipendenti bancari cioè del 32%.

«Soprattutto negli ultimi anni – sottolinea Antonio Mangraviti – la fuoriuscita di dipendenti si è impennata. Nel 2017 rispetto all’anno precedente i bancari sono diminuiti del 10%. Nel periodo 2009/2017, gli sportelli della provincia di Messina sono diminuiti di circa il 25% con una percentuale maggiore per quelli relativi ai primi 5 gruppi bancari. Nel confronto 2016-2017 si è passati da 193 sportelli a 179 con una flessione dell’8%. Il personale adibito alla rete commerciale si è ulteriormente ridimensionato perché, in alcune aziende di credito, la cosiddetta multipolarità ha portato alla creazione di uffici con lavorazione accentrate che hanno sottratto personale già adibito allo sportello».

Il paradosso è che la Sicilia, una volta sede di banche con un rapporto storico con il territorio e con la regione, paga doppiamente: da una parte con l’occupazione persa, dall’altra a causa della perdita progressiva delle sedi legali che ha comportato, oltre alla perdita di entrate fiscali  per la Regione, un distacco dai luoghi decisionali e anche dalla capacità di un’interlocuzione efficace con le parti sociali e gli “stakeholders” ovvero cittadinanza, imprenditori, territorio e lavoratori.

«Molte volte – aggiunge ancora Mangraviti – nelle banche persiste uno stato delle strutture informatiche lento e non adeguato a quello che si vorrebbe realizzare attraverso i canali telematici. Ecco quindi le file allo sportello, linee informatiche intasate, difficoltà di mantenere un servizio adeguato. L’Italia rimane un sistema “banco-centrico”, in quanto è il sistema bancario  quello che eroga le fonti di finanziamento per l’imprese: se si fermano i finanziamenti bancari si ferma il Paese.

Se è pur vero che stiamo moderatamente uscendo dalla “stretta creditizia” e che le imprese hanno avuto e hanno oggettive problematiche legate all’accesso al credito, d’altra parte si assiste ad una crescita del risparmio in capo alle famiglie degli imprenditori.

Si richiede pertanto, in alcuni casi, il finanziamento del sistema creditizio senza dotare l’azienda di un adeguato patrimonio e cercando di sfruttare al massimo la cosiddetta “leva finanziaria”. Questo dovrebbe essere valido quando ci sono i mezzi, ma cosa accade quando i mezzi non ci sono e magari ci sono le idee?»

Il sistema di Basilea, l’alta incidenza delle sofferenze, non permette alla banca di concedere credito alle aziende il cui rating, ovvero l’indice di solvibilità, sia rischioso, pertanto un’adeguata presa di coscienza è richiesta non solo al sistema finanziario ma anche a quello produttivo al fine di trovare soluzioni condivise per un cambiamento di prospettiva. Gli imprenditori al pari dei risparmiatori scelgono invece di preferire la “liquidità” piuttosto che investire su un futuro tuttora incerto e rischioso.

«I lavoratori bancari – conclude il segretario generale della First Cisl Messina – si trovano schiacciati tra organizzazioni aziendali ancora lontane dall’efficienza e la necessità di dare un servizio alla clientela adeguato da un lato e la considerazione paradossale di sentirsi in esubero dall’altro. La partita è difficile, l’abbandono della struttura finanziaria sul territorio è un fatto che, una volta realizzato dalle aziende, diventa irreversibile e destinato a impoverire il territorio al pari di quello che è avvenuto in altri comparti produttivi».