Non solo stabilimenti balneari. La direttiva europea sui servizi – meglio conosciuta come Bolkestein – tiene in ostaggio ormai da più di dieci anni un pezzo rilevante della nostra economia, che dà lavoro a quasi 200mila imprese e 329mila addetti, tra stabilimenti balneari, commercio su aree pubbliche e rivendita di giornali. Settori che, in questa lunga fase di incertezza, hanno visto precipitare rovinosamente il valore delle attività, con una perdita stimabile in 4,5 miliardi di euro.
Così Confesercenti, che fa il punto sugli effetti causati dalla Bolkestein sulle imprese del nostro Paese, dal recepimento ad oggi.
(Più di) un decennio di incertezze. La ‘questione Bolkestein’ inizia ufficialmente il 12 dicembre 2006, con l’approvazione definitiva della direttiva da parte del Parlamento e del Consiglio dell’Unione Europea. L’obiettivo del provvedimento è favorire la libera circolazione dei servizi e l’abbattimento delle barriere tra i vari Paesi, ma sono molte le critiche che accompagnano la direttiva, approvata solo dopo numerose modifiche con un testo di ‘compromesso’. La Bolkestein si concretizza in Italia quasi quattro anni dopo, quando il nostro Paese recepisce la direttiva con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n.59, stabilendo che, nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attività di servizi sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali, le autorità competenti applichino una procedura di selezione tra i candidati potenziali. In sostanza, le concessioni degli attuali titolari devono essere oggetto di bando di gara. Da allora, tra intese, ricorsi, pareri, sentenze, proroghe concesse e (spesso) annullate, la situazione è rimasta in stallo fino ad oggi. L’ultimo atto sulle concessioni balneari: nel 2018 sono state prorogate al 2033, cancellata da una sentenza del consiglio di stato nel novembre 2021. Lo stesso è avvenuto, più volte, anche per il commercio ambulante: l’intesa Stato Regioni del 2012 è stata smentita dai provvedimenti successivi, e la scadenza delle concessioni è stata prorogata prima al 2015, poi al 2018, poi al 2020, al 2021 e infine al 2022.
I settori di applicazione. La direttiva Bolkestein si applica agli stabilimenti balneari, al commercio e ai pubblici esercizi su area pubblica e alle edicole per la vendita di quotidiani e riviste. Tre settori che, complessivamente, generavano un fatturato di circa 10 miliardi di euro, e i cui operatori – all’80% famiglie – si sono trovati improvvisamente a vivere una situazione di totale incertezza, anche sulle prospettive di breve periodo.
Commercio ambulante. Nel clima di incertezza generato dal recepimento della Bolkestein, il valore delle imprese nei principali mercati si è svalutato tra il 75 ed il 90%. In moltissimi si rilevano posteggi vacanti sui quali nessun operatore vuole investire. Secondo le nostre stime, nel 2010 un valore medio di una attività era 50.000 euro; ora arriva a malapena a 10.000. Considerando gli 8.000 mercati in Italia, la perdita aggregata è di oltre 3 miliardi di euro. Inoltre, dal 2010 ad oggi hanno chiuso oltre 20mila attività, l’11% del totale, e si sono persi circa 28mila addetti.
Stabilimenti balneari. Per gli stabilimenti balneari si sta prefigurando una situazione simile, a fronte, tra l’altro, di investimenti cospicui. Da 10 anni a questa parte le compravendite delle aziende su concessione balneare si sono, di fatto, azzerate. Le pochissime operazioni fatte ci restituiscono una diminuzione del valore di mercato attorno al 50%, con una perdita complessiva di oltre 1 miliardo di euro.
Edicole. Per le edicole si sono sommati due elementi che ne hanno provocato la forte crisi: il primo che le accomuna alla più generale crisi dell’editoria e della carta stampata provocata dall’avvento del digitale, il secondo legato di nuovo alle incertezze create dal processo innescato dalla attuazione della Bolkestein. La crisi del mercato è iniziata intorno al 2008, con una caduta di reddito verticale e la chiusura di molti punti vendita. I chioschi, in particolare, sono diminuiti del 61 per cento negli ultimi 15 anni: oggi ne restano poco più di 7.000. Considerando solo questi ultimi, abbiamo stimato per 10 anni fa un valore medio minimo per ciascuna attività di 100.000 euro, oggi sceso a 30.000. La perdita complessiva per gli operatori rimanenti è di 500milioni di euro.
”Applicata alla realtà specifica italiana – spiega Confesercenti – la Bolkestein ha causato oltre un decennio di instabilità e incertezza. In questi settori, otto attività su dieci sono a conduzione familiare: decine di migliaia di famiglie, quindi, che si sono trovate improvvisamente con la prospettiva di perdere il lavoro. Sottoporre queste imprese familiari a procedure concorsuali non aumenterà la competitività del Paese, ma creerà un problema economico e sociale. Più di ogni altra cosa, sulle imprese grava l’incertezza, che in questo decennio della Bolkestein ha frenato investimenti e distrutto il valore delle attività. In questi anni è diventata un mostro: una Burocra-bolkestein, che testimonia il fallimento di una attività legislativa miope che non ha mai saputo affrontare con lungimiranza il problema, e che purtroppo perdura tutt’ora. Servono provvedimenti equilibrati e chiari, che ripristinino le condizioni di operatività dei comparti”.