Quella appena trascorsa è una settimana segnata da gravi episodi di bracconaggio nell’area dello Stretto di Messina. Il bilancio è di 5 falchi abbattuti, tutti nell’area metropolitana di Reggio Calabria, di cui 4 morti e un ferito, un falco pecchiaiolo, attualmente in cura presso il Centro di Recupero animali selvatici di Messina, gestito dall’Associazione Mediterranea per la Natura (MAN) che, a causa delle lesioni riportate, non potrà mai più tornare a volare.
Gli animali sono stati rinvenuti dai Carabinieri della Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati in danno degli Animali (SOARDA), durante l’attività di pattugliamento effettuata in sinergia con il Nucleo Carabinieri CITES di Catania e con il Comando Regione Carabinieri Forestale “Calabria”.
Lo Stretto di Messina è una delle aree più importanti in Europa per il passaggio di uccelli migratori. In questo periodo, infatti, migliaia di esemplari confluiscono nel braccio di mare che separa la Sicilia al continente, durante l’annuale viaggio dalle aree di svernamento africane a quelle di nidificazione europee.
Quest’area è anche una delle “capitali” del bracconaggio in Italia, infatti è stata inclusa tra i 7 black-spot previsti dal Piano di Azione per il Contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici, creato, su stimolo della UE, proprio a causa dell’eccessiva frequenza e diffusione di questi crimini nel nostro Paese.
L’obiettivo prediletto dei bracconieri dello Stretto è proprio il Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), dai locali riconosciuto con il nome di Adorno, un magnifico animale che compie una spettacolare quanto faticosissima migrazione, in stormi composti a volte da centinaia di esemplari, i quali, senza quasi mai alimentarsi, giungono sui cieli dello Stretto dopo avere attraversato, tra mille pericoli, il deserto e il Canale di Sicilia, diretti anche fino al Nord Europa. Uno straordinario miracolo della natura che viene cancellato, in un attimo, a colpi di fucile.
Nonostante il fenomeno sia notevolmente diminuito rispetto a quanto accadeva qualche anno fa, grazie al presidio e all’azione delle forze di polizia che, con la collaborazione dei volontari del WWF e delle altre associazioni (Lipu, Legambiente e MAN), ogni anno organizzano azioni di vigilanza e monitoraggio del territorio, il bracconaggio sullo Stretto non può considerarsi un problema definitivamente risolto, né limitato ai grandi rapaci, come testimoniano i numerosi sequestri di piccoli uccelli da richiamo e di strumenti di cattura come trappole e richiami elettronici. Oltre agli animali recuperati, morti o feriti è difatti molto probabile che altri siano sfuggiti ai controlli.
“Questi crimini – dichiara Dante Caserta, Vice Presidente del WWF Italia – sono spesso associati ad altri gravi reati e sono compiuti, in maniera frequente e diffusa in tutto il Paese, da soggetti che non temono le ripercussioni, in quanto oggi gli strumenti normativi e sanzionatori posti a contrasto dei reati contro la fauna e la flora selvatiche sono assolutamente inadeguati rispetto al danno causato da chi si rende autore di queste condotte illecite. Ciò, oltre a privare la norma della sua funzione deterrente, vanifica, di fatto, l’enorme e prezioso lavoro delle forze di polizia e della Magistratura che, nonostante siano sempre più specializzati e sensibili rispetto a queste tematiche, non possono avvalersi di strumenti, anche investigativi, idonei a supportare l’azione penale e processuale che spesso si estingue prima di giungere a conclusione”.
Il WWF Italia, che già supporta le Autorità pubbliche grazie alle azioni di sensibilizzazione dei suoi volontari, delle Guardie e degli Avvocati del Panda, è oggi l’unico partner italiano del progetto europeo Life SWiPE (Successfull Wildlife Crimes Prosecution in Europe) che ha proprio l’obiettivo di contribuire, con specifiche azioni a supporto di Magistratura e forze di polizia, a ridurre il numero di questi odiosi crimini attraverso un aumento del numero di procedimenti giudiziari che giungono a condanna.