La pressione quotidiana nel periodo pandemico, il lavoro spesso oscuro e nascosto, il confronto quotidiano con la sofferenza e lo stress professionale: il burnout degli anestesisti-rianimatori è stato ed è una spia di criticità all’interno di una delle professioni maggiormente coinvolte nell’emergenza SARS.CoV2. Nel Congresso ICARE2021 della Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva-SIAARTI proprio l’ampia tematica dello stress professionale è stata protagonista di numerose sessioni.
Come mai questa focalizzazione? “Il fenomeno del burn out negli anestesisti rianimatori è ben noto già da prima della pandemia COVID19” risponde Maria Grazia Frigo, responsabile unità operativa anestesia in ostetricia presso il Fatebenefratelli di Roma e coordinatrice dei progetti di questo ambito presso SIAARTI, “durante l’emergenza sanitaria è cresciuto, in maniera esponenziale, l’interesse da parte della nostra Società scientifica per il benessere e l’equilibrio psico-somatico degli operatori coinvolti al fine di tutelare sia gli operatori che garantire la qualità delle cure”.
In particolare, nella giornata di oggi durante ICARE2021 è stato presentato il dato d’insieme di una survey SIAARTI, che raccoglie l’analisi statistica sui risultati dei questionari Maslach Burnout Inventory (MBI), Resilience Scale (RS-14), Coping Inventory to Stressful Situations (CISS) e Intolerance of Uncertainty Scale-Revised (IUS- R) somministrati a un campione di 1042 anestesisti. I dati sono stati presentati da Michela Di Trani, direttrice del Dipartimento di psicologia clinica all’università La Sapienza di Roma. La survey, che ha coinvolto 1009 anestesisti-rianimatori (63% donne, età media 43,8% età media, 14%specializzandi, 14% ha contratto il COVID-19). L’obiettivo dell’ampio lavoro era osservare i livelli burnout degli anestesisti italiani attraverso l’analisi di specifici profili emersi durante la pandemia, analizzando il rapporto tra livelli di burnout, caratteristiche socio-demografiche e variabili legate al contesto lavorativo.
La ricerca ha fatto emergere quattro profili: il soggetto resiliente, quello in burnout, quello in riserva emotiva e coloro che vivono in una dimensione di distacco.
Il gruppo dei resilienti rappresenta il 33% dei partecipanti: ha mostrato elevate capacità di gestione della condizione lavorativa, vivendo in modo equilibrato lo stress professionale.
Il profilo di anestesisti-rianimatori in pieno burnout è del 20%: ha vissuto grave disagio professionale nel periodo pandemico, con alti livelli di esaurimento emotivo e depersonalizzazione, con scarsa gratificazione operativa.
Il gruppo in riserva emotiva è del 20%: ha accumulato fattori preoccupanti di stress e di esaurimento emotivo. Le donne sono la maggioranza di questo profilo, ed i giovani ne rappresentano la popolazione anagrafica più importante.
Il profilo che vive in distacco ha la dimensione del 27% dei partecipanti alla survey: sono professionisti che hanno maturato un atteggiamento anche inconsciamente difensivo, con l’allontanamento dalle condizioni umane, emotive e tecniche del lavoro e delle persone che in esso sono coinvolte (pazienti, colleghi, altri operatori). Gli uomini rappresentano la percentuale maggiore di questo gruppo.
Secondo Michela Di Trani, questi dati possono già suggerire alcuni interventi organizzativi e soggettivi attraverso azioni specifiche: sostenere le condizioni più evidenti e strutturate di disagio; prevenire il burnout con interventi a favore di competenze e sostegno dei profili più a rischio; promuovere le capacità di stabilità e resilienza nelle condizioni di maggior stress.
Ma cosa ha insegnato dunque il periodo pandemico al mondo degli anestesisti-rianimatori nel rapporto con i momenti più pesanti e snervanti della loro professione, anche a fronte dei numeri della survey? “Ci ha insegnato che è indispensabile inglobare nella nostra formazione specialistica le competenze comunicative e relazionali”, risponde Maria Grazia Frigo concludendo, “Questo diventa possibile attraverso una formazione continua finalizzata alla ‘manutenzione’ del benessere psicosomatico degli anestesisti rianimatori in modo da potenziarne la resilienza anche in funzione di una gestione proattiva del rischio clinico”.