
Con gli Usa che stanno rimarcando, più di quanto già non lo fosse, il proprio nazionalismo economico e non solo, di cui i dazi sono punta di un iceberg, sembra che l’Unione europea si stia attrezzando per altrettanta risposta: la Commissione vorrebbe rivedere le proprie norme che regolano gli appalti pubblici, sì da introdurre una qualche attrazione europea (“Buy European”). Grossomodo quel che dice Trump: metto i dazi alle vostre merci, ma potete evitarli se localizzate le vostre produzioni sul territorio Usa.
E’ tutto un divenire, con il rafforzamento di rapporti con Paesi, per esempio, come Canada, India e Sudafrica. Vedremo, sia per export che import, sia per produzioni che consumi. Per ora la Commissione ragiona molto per il suo progetto “ReArm Europe”, o come lo chiameranno per non urtare le sensibilità di Italia e Spagna.
La questione è ovviamente più ampia. Il Prodotto interno lordo comunitario è fatto oggi, per quasi il 15%, da 2mila miliardi di euro che più di 250mila enti pubblici spendono per acquistare beni e servizi. In questo contesto si vorrebbe promuovere l’industria europea e difendere il mercato unico: il nazionalimo (sovranismo come si chiama oggi) verrebbe considerato opportuno, riducendo l’interesse per i prodotti importati (soprattutto dagli Usa), più o meno sostituiti da quelli prodotti sul proprio territorio.
Saranno i consumatori in grado di accettare questa politica?
Ci vengono in mente le auto elettriche cinesi, verso le quali oggi sono attivi dazi fino al 45% e – dicono – facilitare gli acquisti delle produzioni europee. Ma succede che gli europei stanno solo acquistando meno auto elettriche perché sono troppo costose, facendo così venire meno le politiche per il green deal; un venir meno che diversi (che comunque vorrebbero sempre meno decisioni e poteri per l’Ue) salutano positivamente perché, anche se le avevano approvate, alla prova dei fatti (essenzialmente propaganda di parte) non le hanno mai digerite.
Temiamo che possa accadere altrettanto per altri prodotti e servizi, a detrimento del green deal e non solo (per esempio, quelle libertà e diritti individuali – sociali ed economici – che oggi abbiamo proprio grazie all’Ue?).
Il nazionalismo è una “brutta bestia”, difficile anche da domare. E che noi europei – lungimiranti e scottati dal passato – proprio fondando le pur minime e insufficienti istituzioni che abbiamo, abbiamo combattuto ed evitato.
Siamo sicuri che il progresso dell’Unione sia verso il nazionalismo e non il federalismo? Dove il primo riproduce tutto quello che, pur se su un territorio e una popolazione maggiore, ci ha fatto male in passato, mentre il secondo, il federalismo, è un modello di crescita e sviluppo aperto, attrattivo, come sono stati gli Usa nei secoli passati, per tutto il mondo.
Forse è positivo che oggi l’Ue stia cercando di migliorare i rapporti col nuovo deal verso il Regno Unito e le maggiori attenzioni con Stati federali come Canada e India. Ma per farlo crediamo sia opportuno che l’Ue non sia una nazione, un fortino, una patria, bensì una scelta consapevole di poter svolgere un ruolo di attrazione e disponibilità economica e politica, anche favorendo l’immigrazione.
Non è facile. E sicuramente non aiuta chi fa il tifo per i bei dazi Usa o aspetta di fare qualcosa quando tutto sarà drammaticamente realtà, col contorno di meno libertà. Il modello europeo (che, checché se ne dica, si ispira al Manifesto di Spinelli, Rossi e Colorni), ha mosso i suoi passi – economia e sociale – proprio in queste direzioni.
Vincenzo Donvito Maxia – presidente Aduc