
di Roberto Malini
Pesaro – Cinque morti, devastazione, accuse di omicidio colposo plurimo e disastro colposo. La tragedia del deposito Eni di Calenzano, esploso il 9 dicembre 2024, non è stata una fatalità, ma un evento che il procuratore Luca Tescaroli ha definito “prevedibile ed evitabile”. Oggi nove persone, tra dirigenti di Eni S.p.A. e della ditta appaltatrice Sergen, sono indagate, e la stessa Eni è sotto inchiesta per responsabilità amministrativa ai sensi della Legge 231. Secondo l’accusa, errori gravi e impossibili da giustificare hanno provocato la tragedia: l’innesco di una fonte di calore in un’area a rischio, la gestione delle operazioni in condizioni pericolose, la manomissione della documentazione post-esplosione. Non è stata sfortuna. È stata negligenza.
La vicenda di Calenzano deve essere una lezione, perché ciò che è successo lì potrebbe accadere altrove. A Pesaro, dove è in fase avanzata l’iter per la costruzione di un impianto di liquefazione di metano con depositi di stoccaggio di GNL a ridosso dell’abitato e in zona alluvionale e sismica, il pericolo è reale e tangibile. Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha rilasciato una Valutazione di Impatto Ambientale positiva, nonostante le numerose normative che vietano impianti simili in aree così vulnerabili. La domanda è inevitabile: ci troveremo un domani a piangere un’altra strage annunciata, un altro disastro causato da mire imprenditoriali unite a irresponsabilità istituzionale?
Le cause del disastro di Calenzano fanno emergere inquietanti parallelismi con il progetto di Pesaro. A Calenzano la tragedia è avvenuta perché si è ignorata la sicurezza: apparecchiature che generavano calore in un’area ad alto rischio, operazioni svolte senza le dovute precauzioni, autorizzazioni rilasciate senza controlli adeguati. A Pesaro, stiamo facendo lo stesso errore? Sappiamo già che la zona individuata per l’impianto Fox Petroli è a rischio idraulico ed esondativo, che non cancellano di certo paratie in cemento o l’avvio dei lavori della cassa di espansione a Chiusa di Ginestreto. Sono opere che non trasformano un’area inadeguata, ad altissimo rischio, nel suo contrario. Non esistono procedure per rendere sicura un’area vulnerabile, fragile, soggetta a fenomeni sismici e alluvionali, a ridosso dell’abitato e a meno di un chilometro dal centro storico.
Non solo. A Calenzano la procura ha evidenziato una grave manipolazione della documentazione dopo l’incidente, con la creazione postuma di una cartella contenente informazioni sulle operazioni eseguite. Questo solleva un interrogativo cruciale: possiamo davvero fidarci della trasparenza dei processi autorizzativi per impianti ad alto rischio? Il progetto di Pesaro è stato approvato con una VIA che non cita neppure una volta l’Articolo 41 della Costituzione, modificato nel 2022 per vietare espressamente attività economiche che possano recare danno alla salute, all’ambiente e alla sicurezza.
La società civile manifesta da tempo contro un progetto che, se realizzato, innalzerebbe il tasso di inquinamento atmosferico a livelli mai rilevati prima e metterebbe in pericolo di vita interi quartieri, perché il rischio di incidente rilevante è elevatissimo. La città si è appellata a tutte le istituzioni coinvolte nella pratica e prepara un’azione giuridica, ma è proprio dalle istituzioni che ci si attende una presa di coscienza e interventi che impediscano l’intero progetto.
Calenzano è la prova che le tragedie non accadono per caso. Sono il risultato di leggerezze, di autorizzazioni concesse senza la dovuta cautela, di pericoli ignorati in nome del profitto. Se il progetto di Pesaro andrà avanti, chi si assumerà la responsabilità di ciò che potrebbe accadere? È il momento di fermarsi, riflettere e agire prima che sia troppo tardi. La sicurezza non è un’opzione. È un diritto.