“In materia di pena e di carceri, si pone alla attenzione del Parlamento, del Governo e del Ministero della Giustizia, la seguente proposta. In particolare, il D.P.R. 309 del 1990, T.U. sugli stupefacenti, all’art. 90 contiene una ipotesi di sospensione della pena che potrebbe tornare assai utile, per cercare di decongestionare i penitenziari, per migliorare in prospettiva la sicurezza dei cittadini, e soprattutto per salvare le esistenze di tanti soggetti, prima che siano divorate completamente dalle droghe e dai circuiti del penale.
Il predetto art. 90, prevede attualmente che nei confronti di persona che debba espiare una pena detentiva inflitta per reati commessi in relazione al proprio stato di tossico-dipendente, il Tribunale di sorveglianza possa sospendere l’esecuzione della pena detentiva per cinque anni qualora accerti che la persona si sia sottoposta con esito positivo ad un programma terapeutico e socio-riabilitativo eseguito presso una struttura sanitaria pubblica od una struttura privata. Ora, il fatto di prevedere in una fase di esecuzione, che un soggetto debba essersi già sottoposto con esito favorevole ad un programma terapeutico e socio-riabilitativo, ed il fatto, quindi, di subordinare la concessione della sospensione al già verificatosi esito positivo, significa creare un ambito soggettivo di applicazione del beneficio veramente molto ristretto, pressoché inesistente, significa di fatto limitare moltissimo la portata di un provvedimento che, invece, potrebbe avere delle potenzialità enormi. Sarebbe, quindi, opportuno modificare la possibilità di accedere a tale sospensione, prevedendo, così come avviene per l’affidamento in prova in casi particolari ex art. 94 del medesimo D.P.R. 309/90, che sia già sufficiente l’intenzione di sottoporsi ad un programma terapeutico e socio-riabilitativo, prescindendosi inizialmente dall’esito positivo del programma.
In questo modo, la sospensione dell’esecuzione dovrebbe essere revocata di diritto non solo per il caso attualmente previsto in cui il condannato nel termine di cinque anni, commetta un delitto non colposo per cui venga inflitta la pena della reclusione, ma anche per il caso in cui si verifichi un mancato avvio del programma, una colpevole interruzione del programma, o comunque un esito finale negativo del programma stesso, sostanzialmente traducibile in un fallimento del complessivo percorso di disintossicazione. Ugualmente, ai fini dell’estinzione delle pene e ogni altro effetto penale, non sarebbe più sufficiente quanto attualmente previsto ovvero che il condannato nei cinque anni successivi non commetta un delitto non colposo punibile con la reclusione, ma in aggiunta, non dovrebbero verificarsi, un mancato avvio del programma, una colpevole interruzione del programma, o comunque un esito finale negativo del programma stesso, sostanzialmente traducibile in un insuccesso del percorso di disintossicazione. Sempre al fine di rendere più immediato e facilmente fruibile l’istituto della sospensione ex art. 90 D.P.R. 309/1990, sarebbe opportuno prevedere che la concessione della sospensione non avvenga come ora, strettamente nella fase di esecuzione della pena, ma possa avvenire anche direttamente nella fase dinanzi al giudice di merito. Praticamente in quest’ultimo caso, la competenza a decidere per la concessione della sospensione ex art. 90, spetterebbe allo stesso giudice che giudica circa la natura del fatto commesso e, quindi, circa la colpevolezza o meno del soggetto.
La sospensione prevista dall’art. 90 del T.U. sugli stupefacenti, quale sospensione che è speciale perché delimitata dalla specificità della tossicodipendenza, diverrebbe quindi, eventualmente concedibile nel momento in cui, sempre in sede di cognizione, l’interessato non fosse ammesso a fruire del diverso e più conosciuto istituto della sospensione condizionale della pena che è contemplato dagli articoli 163 e ss. del codice penale e che è invece rivolto ad una utenza universale. Del resto, per quanto concerne i rapporti tra la sospensione ex art. 163 c.p. e la sospensione ex art. 90 T.U. sugli stupefacenti, anche attualmente la ratio risulta essere la medesima, ovvero la sospensione ex art. 90 può essere disposta solo a chi è stato condannato a scontare una pena detentiva.
La sospensione ex art. 90, quindi, risulta essere concedibile solo nel momento in cui in sede di cognizione il soggetto non è ammesso a fruire della diversa sospensione prevista dagli artt. 163 e seguenti del codice penale. In sostanza, anche oggi, le due sospensioni non risultano essere mai alternative tra di loro. Nella prospettata ipotesi di riforma, la ripartizione tra giudice di merito e Tribunale di sorveglianza, della competenza a concedere la sospensione ex art. 90, dovrebbe, quindi, dipendere dalla fase in cui l’intenzione di sottoporsi al programma dovesse essere palesata. Se la volontà di sottoporsi al programma venisse palesata nel momento in cui il procedimento si trovi ancora all’analisi del giudice del merito, la concessione del beneficio dovrebbe spettare a questo stesso giudice. Inoltre, va detto che estendere anche al giudice di merito, la competenza in materia di sospensione ex art. 90, servirebbe, tra l’altro, a creare una maggiore distinzione tra la predetta sospensione ex art. 90 e l’affidamento in prova in casi particolari ex art. 94 del medesimo T.U., il quale rimarrebbe, invece, sempre un rimedio del tutto ancorato alla fase di esecuzione della pena. Infine, deve segnalarsi che il fine sotteso al presente progetto di riforma degli artt. 90 e ss., muovendosi dalla constatazione che le droghe sono il principale motore di commissione dei reati e che il carcere non costituisce una cura alle tossicodipendenze, è quello di sottoporre il maggior numero possibile di persone tossicodipendenti a programmi di disintossicazione da espletarsi presso strutture pubbliche o private”.
Lo ha esposto in una nota l’avvocato Giuseppe Maria Meloni, portavoce dell’iniziativa Piazza delle Carceri e della Sicurezza del cittadino.