Fotografia della classe agiata, risorsa inaspettata per la rinascita post-epidemia. Sono 1,5 milioni di persone e detengono un patrimonio finanziario complessivo di 1.150 miliardi di euro, aumentato del 5,2% negli ultimi due anni: una cifra pari a tre quarti del Pil del Paese atteso nel 2020. Sono i benestanti, gli italiani con un patrimonio finanziario superiore a 500.000 euro (valore medio: 760.000 euro). Il 75% di loro si dice pronto a finanziare con i propri capitali privati investimenti di lungo periodo per la rinascita economica dell’Italia dopo il Covid-19. Il 71% consiglierebbe a parenti e amici di investire in aziende italiane.
E solo il 18% teme l’introduzione di una tassa patrimoniale. Persuadendo la classe agiata a tenere in forma liquida solo una quota fisiologica del proprio portafoglio pari al 7% (oggi invece è superiore al 15%), sarebbero immediatamente disponibili 100 miliardi di euro da investire nell’economia reale. Risorse utili per realizzare i tanti progetti necessari per la ripartenza del Paese, come la costruzione di nuovi ospedali, residenze per gli anziani e asili, la digitalizzazione delle scuole, la banda ultralarga e quelle infrastrutture vitali che aspettano da decenni di essere compiute. Tutto da fare con il risparmio privato della classe agiata. È quanto emerge dal 3° Rapporto Aipb-Censis «Investire nel futuro dell’Italia oltre il Covid-19» realizzato per capire come il Private Banking possa contribuire alla ripresa post-epidemia e al benessere collettivo.
«Investire italiano». Qual è l’atteggiamento dominante tra gli italiani nei confronti dei benestanti? Né invidia sociale, né spirito di rivalsa, ma un sano pragmatismo. Nella crisi attuale, per il 46,6% degli italiani la ricchezza privata, se ben gestita, può rappresentare una opportunità preziosa per il Paese. Solo il 23,8% la ritiene infruttuosa e il 26,5% un furto. E quasi la metà degli italiani è favorevole a riconoscere vantaggi fiscali a chi investe, non importa quanto sia ricco.
Nessun diavolo della finanza. Non è prevalente l’immagine del ricco egoista, disinteressato alle sorti del proprio Paese. Una buona finanza, che trasferisca fondi dal portafoglio dei risparmiatori abbienti verso strumenti di investimento nell’economia reale, è possibile per l’84,9% degli italiani, necessaria per l’87,4%. I diavoli della finanza non abitano qui: gli italiani non sono rimasti intrappolati nello stereotipo dello spregiudicato magnate speculatore. Però solo il 17,1% pensa che oggi in Italia la finanza sia all’altezza delle sfide che ha di fronte. Per il 91,7% è importante che ci siano professionisti in grado di parlare alla mente, al cuore e al portafoglio dei benestanti, cioè consulenti capaci di convincerli a «investire italiano».
Le inquietudini dei ricchi: il welfare pubblico non basterà, corsa all’autotutela. Ma oggi anche i ricchi sono inquieti. Il 62,6% dei benestanti soffre l’incertezza di questo periodo. A preoccupare di più sono le malattie (46%) e le minacce al reddito (39,7%). In merito alla gestione del loro patrimonio, per il 66,7% dei benestanti è opportuno investire nelle imprese dell’economia reale. Per l’87,5% la priorità è investire in coperture assicurative per la salute, la vecchiaia, l’educazione dei figli. Convinti che lo Stato non potrà dare tutto a tutti per sempre, il 53% si aspetta che in futuro il sistema di welfare pubblico garantisca i servizi essenziali (ad esempio, le terapie intensive nella sanità e gli interventi salvavita) e che per il resto chi può dovrà pagare da sé le prestazioni. Il 41,8% dei benestanti ha già sottoscritto assicurazioni e il 24,9% è intenzionato a spendere di più per la sanità integrativa (solo il 5,9% ridurrà questa voce di spesa in futuro).
Questi sono i principali risultati del 3° Rapporto Aipb-Censis «Investire nel futuro dell’Italia oltre il Covid-19», realizzato dal Censis per Aipb (Associazione Italiana Private Banking), che è stato presentato oggi a Milano nel corso della XVI edizione del Forum del Private Banking «Wealth for the Future» da Francesco Maietta, responsabile dell’Area Politiche sociali del Censis, e discusso da Gian Paolo Manzella, Sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico.