Come era prevedibile, purtroppo , il rientro dopo la cattura in Bolivia del latitante Cesare Battisti è al culmine delle cronache, con ogni testata che si è lanciata nel cercare il titolo più eclatante da proporre ai suoi lettori per convincerli all’acquisto e alla condivisione.
Certo, la notizia c’é, ma a nostro giudizio, il fatto che sia diventata centrale nel dibattito civico e politico non è proprio sintomo di una democrazia adulta; ma l’ennesimo segnale della precarietà di tutto il nostro sistema, più nelle teste dei nostri dirigenti politico-istituzionali che nella realtà delle cose, visto la nostra solidità di membro fondatore e attivo dell’Unione europea.
Questo ritorno sulla questione è perché siamo in lacrime dopo aver letto l’apertura del giornale per eccellenza della città in cui viviamo, Firenze: “Fine pena mai”. Tralasciamo gli aspetti cronachistici che parlano di caccia ai terroristi che sarebbero presenti sul nostro territorio, non ci interessano e, quand’anche qualcuno verrà arrestato (cosa di cui ne saremmo lieti) non cambieremo la nostra opinione rispetto alla totale marginalità di queste azioni rispetto al funzionamento della giustizia.
Siamo consapevoli che il tutto è alimentato da chi, ministro dell’Interno in primis, non si rende conto di fare la parte del marziano osannando la sua grande vittoria contro il comunismo, quello che non c’é, ovviamente, perché è solo storia, più che mai in Italia. Consapevolezza che però non ha fermato le nostre lacrime, di rabbia e sconforto nel medesimo tempo; pensando a colui/coloro che ha deciso quel “fine pena mai”: cittadino, come chiunque altro, che speriamo solo che non si sia reso conto della potenza del suo lavoro di “titolista” e di quello che ha deciso di lanciare, con l’avvallo ovviamente dei suoi superiori e responsabili.
Qualcuno mi ha detto: stai zitto, ché non solo non ne vale la pena, ma ti farà anche male; sai come sono i giornalisti e gli editori, quando metti in discussione loro decisioni, hanno l’arma più potente che il nostro sistema civico e politico potrebbe utilizzare…. Zac, non parlano più di te. Ma questo qualcuno non l’ho ascoltato perché ritengo che questo quotidiano, il più diffuso nella mia città, sia anche mio. E se decideranno che quelli come me non dovranno più esistere, credo che si farebbero male da soli… e la mia non è un’illusione ma un dato di fatto su quello che significa l’attività e il pensiero di Aduc nella città dove ha la sede nazionale.
“Fine pena mai”. Ma perché, visto che il nostro sistema, le nostre leggi e la nostra Costituzione dicono il contrario? Tanto vale, per essere meno crudeli, perorare il ritorno della pena di morte… o c’é differenza tra l’uccisione immediata del reo e la sua consunzione senza speranza in una cella. Qualcuno dice che in cella, invece che ucciso subito, il reo avrebbe modo di pentirsi davanti al suo dio… suvvia, non spetta alle leggi stabilire queste cose, ma solo impedire che qualcuno che ha fatto qualcosa di male possa continuare a farlo, partendo dal principio che la pena debba essere rieducativa e non punitiva. Questo me lo hanno insegnato a scuola, o forse è cambiato qualcosa e non me ne sono accorto? Così come ho appreso nella mia vita in cui ho spesso prestato attenzione ai diritti degli ultimi, che questa particolarità significava maggiore capacità di affrontare poi i diritti e i doveri di tutti.
Sì, lo so. Qualcuno riderà delle mie lacrime. Me le tengo e ne faccio tesoro, senza vergogna per i miei sentimenti e le mie reazioni. Ho la speranza che così si potrebbe anche costruire un mondo migliore.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc