Dopo 2 anni di crisi pandemica, a cui si sono aggiunte negli ultimi mesi le difficoltà di reperire le materie prime e il caro energia, continua, in maniera altrettanto preoccupante, la stretta dell’oppressione burocratica sugli imprenditori. A causa dell’eccessivo numero di adempimenti, di permessi e l’espletamento delle pratiche richieste dalla nostra burocrazia, il costo annuo in capo alle imprese italiane ammonta a 57 miliardi di euro. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha “ricostruito” la dimensione economica di questo fenomeno, alle luce delle analisi elaborate dall’Istituto Ambrosetti e da Deloitte.
I tempi, i costi e la farraginosità della cattiva burocrazia italiana costituiscono un problema che caratterizza negativamente il nostro Paese, all’interno del quale sono presenti forti differenziazioni tra Nord e Sud, nonché tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale. Nel Mezzogiorno, dove la nostra Pubblica Amministrazione (PA) è meno efficiente, la situazione è maggiormente critica. Non è un caso, infatti, che molti investitori stranieri rifiutino a trasferirsi in Italia proprio per la difficoltà di approcciarsi con il nostro sistema burocratico che non ha eguali tra i nostri principali partner europei.
E come segnala l’OCSE, la produttività media del lavoro delle imprese italiane è più elevata nelle zone dove l’Amministrazione pubblica è più efficiente. Per contro, dove invece è più bassa, la produttività del settore privato ne risente negativamente. In questo studio, inoltre, si dimostra che l’inefficienza del settore pubblico “produce” maggiori costi economici alle piccole che alle grandi imprese.