CGIA MESTRE: PMI TASSATE 120 VOLTE PIÙ DEI GIGANTI DEL WEB

Come Davide contro Golia. La CGIA, piccola e battagliera associazione di artigiani e padroncini del Nordest, si scaglia contro i giganti del web che, a differenza delle nostre Pmi, continuano a fare ricavi da capogiro, senza versare al fisco quanto dovuto. Sino alla fine dell’anno scorso, infatti, hanno continuato a trasferire buona parte degli utili ante imposte realizzati in Italia nei paesi a fiscalità di vantaggio.

Risultato? Grazie a queste operazioni elusive, il nostro erario ha incassato da queste WebSoft solo le briciole. Vediamo i numeri emersi dal confronto messo a punto dall’Ufficio studi della CGIA.

Se le nostre piccole imprese pagano ogni anno 24,6 miliardi di tasse, le 25 multinazionali del web presenti in Italia, invece, ne versano molte meno: secondo l’Area Studi di Mediobanca solo 206 milioni di euro. Certo, le dimensioni economiche di queste due realtà sono molto diverse, ma, dal punto di vista degli artigiani mestrini, il risultato che emerge è sconsolante. Se le aziende italiane prese in esame producono un fatturato annuo 90 volte superiore a quello riconducibile alle big tech, in termini di imposte, invece, le prime ne pagano ben 120 volte più delle seconde. Insomma, possiamo affermare con buona approssimazione che la distanza in termini di fatturato non giustificano quella relativa al gettito, così svantaggiosa per le Pmi. Certo, quella appena richiamata è una comparazione che presenta una serie di limiti metodologici e non ha alcun rigore scientifico. Tuttavia, il ricorso sistematico all’elusione praticato negli anni ha aumentato questa disparità di trattamento, mettendo in evidenzia in misura inequivocabile che, in Italia, alle grandi multinazionali, in questo caso tecnologiche, continua a essere riservato un prelievo fiscale ingiustificatamente modesto.

Ora è in arrivo la Global minimum tax, anche se non in tutta UE

Evidentemente, in Italia c’è un trattamento fiscale che “penalizza” i piccoli e “favorisce” i giganti. Infatti, se sui nostri imprenditori grava un tax rate effettivo che sfiora il 50 per cento, sulle big tech, invece, si attesta, secondo l’Area Studi di Mediobanca, al 36 per cento.  E sebbene da quest’anno entri in vigore la Global minimum tax (Gmt), secondo il dossier curato dal Servizio Bilancio dello Stato della Camera, il gettito previsto dalla sola applicazione dell’aliquota del 15 per cento sulle multinazionali sarà molto contenuto. Si stima che nel 2025 il nostro erario incasserà 381,3 milioni di euro, nel 2026 427,9 e nel 2027 raggiungerà i 432,5.

Nel 2033, ultimo anno in cui nel documento si stimano le entrate, le stesse dovrebbero sfiorare i 500 milioni di euro. Nel 2024 la Gmt interesserà 19 paesi UE: Spagna e Polonia, invece, si adegueranno a partire dall’anno prossimo, mentre Estonia, Lettonia, Lituania, e Malta hanno ottenuto una proroga sino al 2030. Cipro e Portogallo, infine, sono chiamate a rispondere alla sollecitazione giunta da Bruxelles che ha recapitato loro una lettera di messa in mora. Appare evidente che per le grandi holding presenti nei in UE rimane ancora la possibilità, almeno per i prossimi 5/6 anni, di spostare parte degli utili in alcuni paesi membri dove la tassazione continua essere molto favorevole.