Il colesterolo svolge un ruolo di primo piano tra i fattori di rischio cardiovascolare, responsabile di 47mila decessi l’anno con una spesa sanitaria che arriva a 16 miliardi di euro per costi diretti e indiretti. Tenere più basso il livello di colesterolo “cattivo” significa ridurre il rischio di infarto e ictus e la conseguente mortalità. Tuttavia, nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni in termini di prevenzione cardiovascolare, e le molte terapie attualmente disponibili, circa il 50% non riesce a tenere sotto controllo il colesterolo e a raggiungere i livelli adatti al proprio profilo di rischio, raccomandati dalle linee guida europee.
In questo contesto, uno studio clinico multicentrico, il più ampio mai realizzato fino ad oggi su efficacia e sicurezza su entrambi i nuovi farmaci inibitori della proteina PCSK9, è stato condotto dal gruppo di ricerca guidato dal professor Pasquale Perrone Filardi del Dipartimento di Scienze biomediche avanzate dell’Università Federico II di Napoli. La ricerca ha dimostrato livelli di aderenza superiori al 95% nei pazienti in trattamento con i due farmaci anti-PCSK9, la proteina che blocca i recettori che catturano il colesterolo, impedendone l’accumulo nell’organismo.
L’indagine condotta in 9 centri italiani ha coinvolto 798 pazienti, il 78% classificati a rischio cardiovascolare alto o molto alto, seguiti per oltre un anno e mezzo. “I pazienti arruolati al momento della prima prescrizione di anti-PCSK9 avevano valori di colesterolo LDL in media di 147 mg/dl, raggiungendo 51 mg/dl al momento dell’ultima osservazione – commenta Perrone Filardi, autore dello studio e presidente eletto della Società Italiana di Cardiologia (SIC) -. I pazienti hanno presentato dunque una riduzione media dei livelli di colesterolo del 64% che si è mantenuta per tutti i 19 mesi del follow up. L’aderenza e la persistenza alla terapia sono risultate superiori al 95%, con una percentuale di interruzione del farmaco del 3%. Sappiamo invece che con altri farmaci tradizionali, tipicamente con le statine, una larga percentuale di soggetti, fino al 50%, abbandona la terapia a un anno dalla prescrizione. Dunque siamo di fronte a una classe di farmaci che mostra una persistenza alla terapia elevatissima”.
“Questa aderenza record è sostanzialmente spiegabile con la scarsa quantità di effetti collaterali, rispetto alle statine, registrati in appena 4 pazienti e una modalità di somministrazione meno impegnativa con un’iniezione sottocutanea ogni 2 settimane anziché una pillola da assumere ogni giorno”, precisa l’esperto.
Un aspetto sicuramente importante riguarda anche in relazione alla loro efficacia. “Se questa terapia viene data in aggiunta alle terapie orali convenzionali, circa tre quarti dei pazienti ad alto rischio cardiovascolare riescono a raggiungere il target stabilito dalle linee guida correnti, cioè un colesterolo LDL inferiore a 55 mg/dl. Si tratta di un fatto molto importante poiché una delle sfide della prevenzione cardiovascolare è proprio il raggiungimento dei livelli di colesterolo adatti al proprio profilo di rischio raccomandati dalle linee guida – sottolinea Perrone Filardi -. Non esistono infatti dei valori assoluti di colesterolo normale in quanto più è alto il rischio individuale del paziente, tanto più basso deve essere il valore di colesterolo LDL. Purtroppo, questi farmaci sono ancora utilizzati in maniera non ottimale. In Italia abbiamo circa 30mila pazienti in terapia, contro una percentuale stimata che potrebbe trarne beneficio che arriva intorno ai 100mila”.