Il Tribunale precisa, in tale contesto, la portata del suo controllo giurisdizionale in materia di molestie psicologiche e l’obbligo per le istituzioni di procedere in sede disciplinare qualora le molestie siano accertate
Nella causa T‑275/17, un’ex-eurodeputata ha assunto un’assistente parlamentare per la durata residua del proprio mandato, scadente nel maggio 2014.
Il 7 novembre 2013, l’eurodeputata ha chiesto al Parlamento europeo di risolvere il contratto per il fatto, in particolare, che la sua assistente avrebbe deciso, senza chiedere autorizzazione, di assentarsi dal lavoro per un’intera settimana.
L’eurodeputata precisava nella sua domanda che, quando aveva fatto notare ciò alla sua assistente, questa l’aveva insultata e se ne era poi andata.
In seguito alla risoluzione del contratto da parte del Parlamento europeo nel dicembre 2013, l’assistente ha avanzato una richiesta di assistenza, come prevista dallo Statuto dei funzionari dell’UE [1], sostenendo di essere stata oggetto di molestie psicologiche da parte dell’eurodeputata, consistenti in umiliazioni, minacce, mancato rispetto, insulti e urla.
Il Parlamento ha respinto tale richiesta, ritenendo che i fatti controversi si fossero svolti in un contesto di forte tensione tra le due donne. Per il Parlamento, sebbene l’utilizzo di un linguaggio duro sia di per sé deplorevole, al contempo sarebbe a volte stato difficile, nell’ambito lavorativo stressante connesso ai lavori parlamentari, astenersi dall’utilizzare un siffatto linguaggio.
Nella causa T‑377/17, la Banca europea degli investimenti (BEI) ha assunto un’addetta il 1° aprile 2008. In seguito all’arrivo di un nuovo direttore nell’ottobre 2014, il servizio in cui l’addetta esercitava le sue funzioni è stato ristrutturato e il gruppo di cui essa era responsabile non è stato mantenuto. Due anni dopo, l’addetta ha sporto denuncia alla BEI, sostenendo che il comportamento del nuovo direttore nei suoi confronti era costitutivo di molestie psicologiche. In sostanza, l’addetta accusava il nuovo direttore di aver fatto subire alla sua carriera una brusca battuta d’arresto, sollevandola senza motivo da un incarico di responsabilità, di averla denigrata, di aver esternato affermazioni inopportune, aggressive, irrispettose e accusatorie, di non aver comunicato determinate informazioni, di non averle fornito un feedback sulle sue prestazioni professionali e di averla penalizzata rispetto ad altre persone.
La BEI ha riconosciuto solo parzialmente che l’addetta era stata oggetto di molestie psicologiche connesse a determinati fatti allegati. Essa ha quindi comunicato al nuovo direttore che, in caso di ulteriore fondata denuncia che lo riguardasse, avrebbe avviato un procedimento disciplinare nei suoi confronti. Inoltre, la BEI ha chiesto al nuovo direttore di presentare scuse formali all’addetta per la sofferenza da lui causatale e ha inoltre incaricato il servizio delle risorse umane di valutare la possibilità di un coaching professionale del nuovo direttore sul suo stile di gestione e di comunicazione. Infine, la BEI ha informato l’addetta che il procedimento doveva rimanere strettamente confidenziale, anche nella sua cerchia di conoscenze.
Non soddisfatte delle decisioni rispettive del Parlamento europeo e della BEI, le due agenti hanno adito il Tribunale dell’Unione europea per ottenere l’annullamento delle medesime e per chiedere un risarcimento danni.
Con le odierne sentenze, il Tribunale riconosce che le due agenti in questione sono state oggetto di molestie psicologiche e condanna il Parlamento e la BEI a versare a ciascuna di esse EUR 10 000 a titolo di risarcimento danni.
Il Tribunale ricorda [2] anzitutto che la nozione di «molestie psicologiche» ricomprende una condotta inopportuna che si realizza attraverso comportamenti, parole, atti, gesti o scritti che si manifestino in maniera durevole, ripetitiva o sistematica, il che implica che le molestie psicologiche debbano intendersi come un processo che si colloca necessariamente nel tempo e presuppone l’esistenza di azioni ripetute o continuate, e che siano intenzionali, e non invece accidentali. Inoltre, tali comportamenti, parole, atti, gesti o scritti devono produrre l’effetto di ledere la personalità, la dignità o l’integrità fisica o psichica di una persona (T‑275/17). Il Tribunale precisa al riguardo che non intende limitarsi in tale ambito a un controllo dell’errore manifesto di valutazione dei fatti. Ritiene invece di dover esercitare un pieno controllo sui fatti alla luce dei due requisiti suesposti.
Per quanto riguarda la causa T-275/17, dopo aver considerato che, nonostante il loro status di membri di un’istituzione, gli eurodeputati sono tenuti a rispettare la dignità e la salute dei loro collaboratori, il Tribunale rileva che i fatti allegati dall’assistente parlamentare sono stati confermati da testimoni e, in definitiva, non sono stati contestati nella loro veridicità né dal Parlamento né dall’eurodeputata. Il Tribunale constata poi che la portata e, in particolare, il singolare livello di volgarità delle affermazioni dell’eurodeputata nei confronti della sua assistente denigrano tanto l’assistente stessa nella sua persona quanto il suo lavoro. Il comportamento dell’eurodeputata appare pertanto abusivo e non può in alcun caso essere ritenuto un atteggiamento degno di un membro di un’istituzione dell’Unione.
Inoltre il Tribunale ritiene che il carattere abusivo del comportamento controverso dell’eurodeputata non possa essere temperato dallo stretto rapporto esistente tra la medesima e la sua assistente o ancora dal clima di tensione che avrebbe regnato nell’ambito del gruppo degli assistenti parlamentari a servizio dell’eurodeputata. Ne consegue che, nel ritenere non abusivo il comportamento dell’eurodeputata, il Parlamento ha commesso un errore di valutazione dei fatti, per giunta manifesto, riguardo alla definizione di molestie psicologiche.
Dal punto di vista risarcitorio, il Tribunale ricorda che la vittima di molestie psicologiche nell’ambito di un’istituzione dell’Unione deve adire un giudice nazionale per ottenere un indennizzo contro il suo molestatore con un’azione in giudizio che può essere, se del caso, supportata finanziariamente dall’istituzione datrice di lavoro a titolo del suo dovere di assistenza. Pertanto, è solo a motivo dell’irragionevole durata del trattamento della richiesta di assistenza (ivi compreso lo svolgimento dell’indagine amministrativa) che il Tribunale concede all’assistente parlamentare EUR 10 000 a titolo di risarcimento danni.
Per quanto riguarda la causa T-377/17, il Tribunale considera anzitutto che la BEI ha commesso un errore di diritto nel richiedere che, per poter rientrare nella nozione di «molestie psicologiche», un comportamento debba essere ripetuto in maniera identica, indipendentemente dall’effetto cumulativo che gli altri comportamenti allegati esercitano sul pregiudizio arrecato all’autostima e alla fiducia in se stesso del destinatario di tali comportamenti. Infatti, la BEI ha omesso di esaminare se ciascun comportamento censurato al nuovo direttore avesse potuto, congiuntamente agli altri, arrecare oggettivamente un pregiudizio all’autostima e alla fiducia dell’addetta. Pertanto, trattandosi di comportamenti che la BEI non ha riconosciuto costitutivi di molestie psicologiche, il Tribunale conclude che essa dovrà esaminare nuovamente i diversi comportamenti del nuovo direttore al fine di determinare se, considerati nel loro insieme, costituiscano molestie psicologiche.
Il Tribunale dichiara poi che, considerando che si procederà in sede disciplinare nei confronti del nuovo direttore solo in caso di recidiva entro un termine di tre anni, la BEI ha adottato misure insufficienti e inappropriate rispetto alla gravità del caso, quantomeno riguardo al seguito immediato da dare ai comportamenti che essa ha identificato come costitutivi di molestie psicologiche. Infatti, da un lato, una simile sanzione per un accertato comportamento costitutivo di molestie psicologiche necessiterebbe che fosse constatato un nuovo comportamento reprensibile, constatazione che dipenderebbe eventualmente dalla decisione aleatoria della nuova vittima di sporgere o meno una denuncia a titolo della politica di dignità sul luogo di lavoro. Dall’altro lato, tenuto conto dell’intrinseca gravità di ogni comportamento costitutivo di molestie psicologiche, tale sanzione non sarebbe in linea con gli obiettivi dei testi applicabili alla BEI in materia di dignità sul luogo di lavoro.
Infine, il Tribunale ritiene che la BEI non potesse assegnare alla sua decisione e alla lettera di scuse del nuovo direttore un livello di riservatezza tale da vietare all’addetta di rivelare a terzi l’esistenza di tali documenti nonché il loro contenuto: infatti, imporre a una vittima di molestie psicologiche di tacere riguardo all’esistenza di simili fatti avrebbe la conseguenza che l’interessato non possa trarre vantaggio dalle constatazioni effettuate dall’istituzione di cui trattasi, in particolare nell’ambito di un’eventuale azione proposta dinanzi a un giudice nazionale nei confronti della persona che lo ha molestato. Inoltre un’interpretazione siffatta sarebbe contraria all’obiettivo di prevenire e di sanzionare qualsiasi molestia psicologica nell’ambito delle istituzioni dell’Unione, ove le molestie psicologiche costituiscono una violazione dei diritti fondamentali del lavoratore. A causa di tale silenzio imposto dalla BEI alla vittima il Tribunale riconosce il diritto dell’addetta al risarcimento dei danni per l’importo di EUR 10 000.
[1] Articolo 24 dello statuto dei funzionari dell’Unione europea.
[2][2] Sentenza del Tribunale del 29 giugno 2018, HF/Parlamento, T‑218/17.