L’analisi del Centro studi dell’associazione: entro fine 2021 arrivano a fine corsa 183 miliardi di btp, 131 miliardi di bot, 12 miliardi di cct e 48 miliardi di ctz. La legislatura in corso vale 822 miliardi. L’anno prossimo possibili tensioni sui mercati finanziari. Il vicepresidente Spadafora: «Incapacità governo Conte potrebbe ripercuotersi sulla spesa per interessi, riducendo i fondi necessari a sostenere la ripresa economica»
Vale 375 miliardi di euro il debito pubblico da rinnovare in epoca “Covid”: entro dicembre 2021 scadono, infatti, 183 miliardi di btp, arrivano a fine corsa 131 miliardi di bot, 12 miliardi di cct e 48 miliardi di ctz. Ammontano, invece, a quota 822 miliardi, complessivamente, le “scadenze” di titoli di Stato della legislatura in corso: si tratta di 557 miliardi di btp, di 131 miliardi di bot, di 63 miliardi di cct e di 71 miliardi di ctz. In totale, i titoli di Stato in circolazione valgono 2.103 miliardi, dei quali 1.764 miliardi sono btp, 131 miliardi bot, 136 miliardi cct e 71 miliardi ctz. Questi i dati principali di una analisi del Centro studi di Unimpresa secondo cui nel 2020 il debito ancora da rinnovare è di 51 miliardi, nel 2021 di 323 miliardi, nel 2022 di 206 miliardi e nel 2023 di 240 miliardi: nell’arco temporale della legislatura (2020-2023) arrivano complessivamente a scadenza 822 miliardi. «Nonostante la copertura della Banca centrale europea, c’è da guardare con non poca preoccupazione alle prossime scadenze del nostro debito pubblico. Finora le emissioni sono state archiviate senza contraccolpi. Tuttavia, l’incapacità del governo guidato da Giuseppe Conte di dare un indirizzo sicuro al Paese e di portare avanti scelte di politica economica in linea con le esigenze di una fase drammatica potrebbero innervosire i mercati finanziari, potrebbero esserci ripercussioni e gli investitori potrebbero essere spinti a pretendere tassi di interesse maggiori. Tutto ciò avrebbe ripercussioni assai negative sui conti pubblici italiani, a causa dell’aumento della spesa per gli interessi da versare ai sottoscrittori di bot e btp» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.
Secondo l’analisi di Unimpresa, basata su dati del ministero dell’Economia, l’ammontare complessivo dei titoli di Stato in circolazione è pari a 2.103,3 miliardi: si tratta di 131,1 miliardi di bot, 136,9 miliardi di cct, 71,1 miliardi di ctz e 1.764,1 miliardi di btp. Nel dettaglio, nella parte finale del 2020, il debito pubblico ancora da rinnovare è pari a 51,7 miliardi: 22,8 miliardi di bot, 12,8 miliardi di cct e 15,9 miliardi di ctz. L’anno prossimo scadranno 323,9 miliardi di obbligazioni pubbliche: 108,2 miliardi di bot, 32,3 miliardi di ctz e 183,2 miliardi di btp. Nel 2022, poi, scadrà debito pubblico per 206,9 miliardi: 28,1 miliardi di cct, 22,6 miliardi di ctz e 156,2 miliardi di btp. L’anno successivo – nel 2023, quando scadrà la legislatura in corso – impegnerà il Tesoro per rinegoziare 240,2 miliardi di titoli: 22,5 miliardi di cct e 217,7 miliardi di btp. Altri 177,4 miliardi di titoli pubblici arriveranno a fine corsa nel 2024: 30,2 miliardi di cct e 147,1 miliardi di btp, mentre nel 2025 i btp da rinnovare saranno pari a 156,2 miliardi e i cct 43,2 miliardi per un totale di 199,4 miliardi. A partire dal 2026, le scadenze riguarderanno solo i titoli di maggior durata ovvero i btp: 125,6 miliardi nel 2026, 105,4 miliardi nel 2027, 82,7 miliardi nel 2028, 49,1 miliardi nel 2029 e 102,7 miliardi nel 2030. Nel decennio 2031-40, in totale, andranno rinnovati titoli per 300,9 miliardi, mentre nell’arco di tempo che va dal 2041 al 2067 il debito in scadenza è di 136,9 miliardi.
A giudizio del Centro studi di Unimpresa, a partire dal prossimo anno, l’acuirsi della crisi economica, cagionata dalla pandemia e dalle misure di contenimento, potrebbe avere ripercussioni sulla gestione del debito pubblico. Gli appuntamenti col mercato, nel programmato calendario di emissioni stabilito dal Tesoro, non sono stati caratterizzati da situazioni critiche. Un quadro positivo favorito in particolare dalle misure di politica monetaria adottate e assicurate dalla Banca centrale europea. Tale “ombrello”, tuttavia, potrebbe non essere sufficiente nel medio periodo, ad assicurare i sottoscrittori di titoli di Stato, in particolar modo i fondi e gli investitori istituzionali che poi determinano gli esiti delle aste e i relativi tassi di interesse, in relazione ai quali non sono da escludere possibili rialzi nei prossimi mesi. «Con più soldi da riconoscere ai detentori di titoli di Stato si riduce la coperta del bilancio pubblico: il governo avrebbe meno fondi a disposizione per sostenere la ripresa economica» aggiunge Spadafora, spiegando che «non solo è necessario attivare quanto prima la richiesta del pandemic Mes, proprio perché quei 37 miliardi verrebbero erogati all’Italia con tassi di interesse particolarmente favorevoli, ma soprattutto perché si potrebbero far partire gli investimenti nella sanità e in altri comparti, come il trasporto pubblico locale e la scuola, sui quali stiamo perdendo tempo prezioso».