L’incidenza percentuale più elevata dei contratti a termine sul totale dei lavoratori dipendenti occupati nel Paese si registra al Sud.
I settori più interessati dalla presenza di questa tipologia contrattuale sono l’agricoltura, il turismo e il commercio; la fascia anagrafica maggiormente investita è quella giovanile (15-34 anni), anche se la nostra quota di lavoratori temporanei è inferiore al dato medio dell’Area euro.
A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha costruito l’identikit degli oltre 3 milioni (**) di lavoratori presenti in Italia che prestano servizio con un contratto a termine.
La crescita di questi contratti flessibili registrata negli ultimi 10 anni – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – è correlata all’andamento dell’economia. Quando il Pil si abbassa il numero scende, quando l’economia torna a salire i precari aumentano.
A nostro parere va segnalato che il notevole ricorso a questi contratti non è legato all’elevato numero degli stessi, ma a seguito di una crescita che è stata e che continua a risultare troppo modesta.
Con variazioni del Pil molto contenute, infatti, non possiamo che ottenere una cattiva occupazione che abbassa la produttività complessiva del lavoro e conseguentemente anche i salari pro capite.
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