#IORESTOACASA. Questo è l’hastag che il premier Giuseppe Conte, nella conferenza stampa straordinaria del 9 marzo, ha usato per sintetizzare che tutta l’Italia ormai è zona protetta e per comunicare le nuove norme con cui cercare di arginare il Coronavirus.
Per i prossimi giorni continueremo ad avere le scuole chiuse, gli stadi chiusi, lo sport fermo i luoghi di ritrovo e di svago chiusi, uscite solo necessarie e per i motivi previsti del DCPM del 9 marzo, ma non tutti i luoghi di lavoro sono e possono restare chiusi.
Come non lo sono stati nelle zone gialle, nei giorni precedenti, prima che tutta l’Italia diventasse un solo Paese in quarantena.
Alcuni lavoratori, sin da subito nelle zone rosse, sono stati messi in condizione di lavorare da casa, il c.d smart working, ma sono ancora una minoranza. E del resto il lavoro agile è impossibile per chi deve assicurare i servizi pubblici essenziali, per operai e addetti alla pulizia e alla ristorazione, per chi fa il cassiere e il banconista nei supermercati e negozi di genere alimentari aperti per garantire l’approvvigionamento, per le farmacie e di quanti forniscono un servizio essenziale e di prima necessità.
Ma ognuno di questi lavoratori, oltre che sé stesso, avrà familiari da tutelare, gli stessi familiari cui è stato chiesto di stare in casa come forma di prevenzione e protezione per sé e per gli altri.
Penso a tutti quei lavoratori che stanno al front-office negli uffici postali e spesso senza nemmeno lo sportello a dividerli dall’utente; penso ai cassieri dei supermercati che già nei giorni scorsi sono stati esposti ad una affluenza di consumatori, al banconista delle farmacie, agli addetti alle pulizie delle strade con la raccolta dei rifiuti che comunque deve essere garantita per evitare un ulteriore rischio alla salute. Penso a quanti stanno lì esposti e senza misure di protezione, perchè questo virus ci ha dichiarato guerra, con un dichiarazione che non abbiamo compreso fino in fondo in tempo, che ci ha trovati impreparati e che al momento contrastiamo senza armi; e che sopratutto ci ha fatto capire che, nonostante tutta la tecnologia e il progresso, restiamo vulnerabili.
Anche e sopratutto a questi lavoratori va garantito il diritto alla salute, senza che si crei una discriminazione tra chi lavora sul posto sopportando un rischio aggiuntivo e maggiorato rispetto alla popolazione non lavorativa, di fatto obbligata a restare a casa se non ha giustificati motivi per spostarsi, e a chi è stato permesso il telelavoro.
Occorre perciò capire come si gestisce il coranavirus in ambito lavorativo.
Il datore di lavoro deve assicurare la sicurezza del lavoratore sul posto di lavoro e fornire tutti gli strumenti necessari a proteggere la salute. Questo è il principio generale.
A tal fine ogni datore che ha anche un solo dipendente deve redigere il DVR (documentazione di valutazione del rischio) ossia il prospetto che racchiude rischi e misure di prevenzione per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.
Il riferimento normativo per la prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro è il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro D.Lgs. 81/2008, che stabilisce anche pesanti sanzioni per chi non rispetta quest’obbligo. Il responsabile del DVR è il Datore di Lavoro, ma anche altre figure professionali, a seconda dei casi previsti dalla legge, sono implicate nella redazione del DVR:
1. Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) che affianca il datore in fase di valutazione dei rischi e contribuisce a pianificare le misure di protezione e prevenzione;
2. Medico Competente (MC) che contribuisce a valutare i rischi specifici in relazione alla salute dei lavoratori e si occupa di predisporre il protocollo di sorveglianza sanitaria;
3. Rappresentante dei Lavoratori (RLS) che viene consultato preventivamente sul contenuto della valutazione dei rischi e deve riceverne una copia per presa visione.
Sono esenti dall’obbligo del DVR sono i lavoratori autonomi e le imprese familiari, che seguono la normativa dell’art. 2222 del Codice Civile.
Tralasciando il caso che riguarda gli ambienti di lavoro in cui l’esposizione al COVID-19 è specifica (ambito sanitario, pronto soccorso, reparti malattie infettive, addetti alla sicurezza aeroportuale, addetti delle forze dell’ordine in aree oggetto di focolai, addetti dei laboratori di analisi, …) per cui il rischio è “professionale”, occorre tutelare chi lavora negli ambienti di lavoro “in cui l’esposizione all’agente biologico è di tipo generico, e pertanto non rientra nel rischio specifico” (ambienti industriali, civili, scuole, terziario, grande e piccola distribuzione, attività commerciali, della ristorazione, trasporti, etc…).
In questi casi il Datore di Lavoro ai sensi del D.Lgs. 81/2008 “ha già valutato il rischio biologico e sicuramente avrà presente nel documento di valutazione una sezione per il cosiddetto “Rischio Biologico Generico”.
Col divieto di spostamento per la popolazione e l’autorizzazione per chi ha invece comprovate ragioni lavorative per muoversi, il rischio da esposizione virale coronavirus a nostro parere è diventato un rischio professionale per tutti i lavoratori.
E dunque obbligo di valutare nel DVR il rischio biologico virale da coronavirus.
Certo in questi momenti di caos appare chiaro che il datore di lavoro non abbia avuto, e non avrà il tempo di aggiornare il DVR, ma questo non significa che non si debbano adottare cautele e iniziative a garantire tutti, lavoratori e utenza che entra in contatto con gli stessi.
Quando nei giorni scorsi al Nord vi erano ancora zone rosse e gialle, la regione Lombardia con ordinanza segnalava che per il punto k) del DL n.6 del 20/02/2020 “si invitano gli esercenti ad assicurare idonee misure di cautela”. E pur non prevedendo chiusura degli esercizi commerciali che vendono generi di prima necessità, invitava però i datori di lavoro, o cmq gli esercenti, ad adottare le opportune cautele.
Per fare fronte alla diffusione del “coronavirus”, lo stesso Ministero della salute ha pubblicato la Circolare n. 3190/2020, destinata agli operatori che per ragioni lavorative vengano a contatto con il pubblico, ma che fornisce indicazioni operative utili per tutti i datori di lavoro.. Il Ministero ribadisce che, ai sensi della normativa vigente (D.Lgs. 81/2008), la responsabilità di tutelare i lavoratori dal “rischio biologico”, a cui afferisce il Coronavirus, è in capo al datore di lavoro, con la collaborazione del medico competente.
In tale ottica il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare tutte le cautele per la protezione dal rischio biologico, con l’uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI) che nel caso del coronavirus sono relativi a: protezione delle vie respiratorie; protezione degli occhi; protezione delle mani; protezione del corpo.
Venendo a quello che sembra necessario fare per tutelare i lavoratori e la salute pubblica, è consigliabile ai datori di lavoro produrre un protocollo aziendale elencando quello che stanno facendo e quello che stanno pensando di fare e lo alleghino al documento di valutazione dei rischi.
Allo stato va chiesto al datore di lavoro e al responsabile della sicurezza per iscritto quale valutazione del rischio hanno fatto, quale norme hanno inteso adottare o perchè non hanno ritenuto necessario adottare le cautele che pure erano state raccomandate, perchè limitare l’accesso scaglionato ai locali allo stato è misura blanda.
Invitiamo i lavoratori tramite il loro rappresentante sindacale interno o, in mancanza tramite un sindacalista esterno, a chiedere per iscritto al datore di lavoro e al responsabile della sicurezza, quale valutazione del rischio hanno fatto tenuto conto che appare ormai chiaro non essere solo una forma di influenza, quali norme, accorgimenti e strumenti di protezione hanno inteso adottare o perchè non hanno ritenuto necessario adottare le cautele.
Auspichiamo che il DPCM 9 marzo 2020, che ha esteso a tutto il territorio italiano la normativa relativa alle zone controllate (ex zone rosse), venga integrato prevedendo l’obbligo per tutte le aziende e di datori di lavoro a consentire il telelavoro per mansioni di ufficio a quanti non hanno rapporto con il pubblico.
E nel vuoto normativo e nel dubbio se il datore di lavoro è soggetto o meno ad aggiornamenti di dvr e all’adozione di dispositivi validi ed efficaci, resta sempre la regola del buon senso e di responsabilità, che come italiani siamo stati chiamati ad avere per il bene di tutti .
Anna D’Antuono, legale, consulente Aduc