Il Tribunale non avrebbe dovuto annullare il mantenimento di Hamas in tale elenco sulla base del rilievo che il Consiglio non aveva autenticato con una firma le motivazioni individuali di tali atti
Con sentenza del 4 settembre 2019, Hamas/Consiglio [1], il Tribunale aveva annullato, nell’ambito di un ricorso di annullamento proposto ai sensi dell’articolo 263 TFUE, quattro atti del Consiglio dell’Unione europea adottati nel 2018 [2] che avevano mantenuto Hamas nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931/PESC. Quest’ultimo era stato iscritto come organizzazione implicata in atti terroristici ed era oggetto, a tale titolo, di misure di congelamento di capitali e di risorse economiche. Pur respingendo sette degli otto motivi allora dedotti da Hamas per contestare la sua iscrizione, il Tribunale aveva annullato gli atti controversi, nella parte in cui essi riguardavano tale organizzazione, a causa della mancata autenticazione da parte del Consiglio, mediante una firma, delle motivazioni relative a tali atti, motivazioni che erano contenute in documenti distinti. Il Tribunale si era riferito al riguardo all’obbligo della firma dettato dall’articolo 297, paragrafo 2, primo comma, TFUE nonché dall’articolo 15 del regolamento interno del Consiglio [3].
La Corte, pronunciandosi in Grande Sezione, annulla la sentenza del Tribunale del 4 settembre 2019. Essa dichiara che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel considerare che le motivazioni relative al mantenimento di Hamas negli elenchi allegati agli atti controversi avrebbero dovuto, allo stesso titolo di tali atti stessi, i quali contengono una motivazione generale, essere firmate dal presidente e dal segretario generale del Consiglio. Inoltre, tali motivazioni erano state adottate dal Consiglio contemporaneamente ai suddetti atti, ai quali esse erano unite in modo inscindibile, e la loro autenticità non era stata validamente messa in discussione.
Giudizio della Corte
La Corte ricorda, in primo luogo, che dalla sentenza Commissione/BASF[4], sulla quale il Tribunale si è basato nella sentenza impugnata, risulta che la firma autografa di un atto, in particolare da parte del presidente dell’istituzione che l’ha adottato, costituisce un mezzo di autenticazione dell’atto, avente lo scopo di garantire la certezza del diritto fissando, nelle lingue facenti fede, il testo adottato da tale istituzione. Siffatta autenticazione permette così di controllare, in caso di contestazione, la perfetta corrispondenza dei testi notificati o pubblicati con i testi quali sono stati adottati e, quindi, con la volontà del loro autore. Pur se, in tale sentenza, la Corte ha altresì ricordato che il dispositivo e la motivazione di una decisione costituiscono un tutto inscindibile, la Corte osserva che, a differenza della decisione oggetto della suddetta sentenza, gli atti controversi sono muniti della firma del presidente dell’istituzione che li ha adottati, ossia il Consiglio, e del suo segretario generale. Inoltre, tali atti, quali sono stati pubblicati, contengono una motivazione generale. La Corte rileva altresì che, nella sentenza Commissione/BASF, la questione sollevata non era se l’intera motivazione di un atto debba essere autenticata mediante una firma quando una parte di tale motivazione compaia in un documento distinto, bensì, segnatamente, quella della mancanza di corrispondenza tra il testo di una decisione quale adottata dal suo autore e il testo della stessa decisione come pubblicata e notificata. Alla luce di tali diversi elementi, la Corte conclude che le considerazioni da essa svolte nella sentenza Commissione/BASF non possono essere applicate alla presente causa.
La Corte ricorda, in secondo luogo, la sua giurisprudenza secondo la quale gli atti che prevedono misure restrittive, come gli atti controversi, presentano una natura particolare giacché sono riconducibili ad atti di portata generale, in quanto si rivolgono a una categoria di destinatari determinati in termini generali ed astratti e, al contempo, sono riconducibili a un insieme di decisioni individuali nei confronti delle persone ed entità i cui nomi compaiono negli elenchi contenuti nei loro allegati. Dalla regola enunciata all’articolo 297, paragrafo 2, primo comma, TFUE discende che gli atti controversi, che costituiscono atti non legislativi adottati sotto forma di regolamenti o di decisioni che non designano i destinatari, devono essere firmati dal presidente del Consiglio, in quanto riconducibili ad atti di portata generale ai sensi di tale giurisprudenza. Per contro, nei limiti in cui gli atti controversi sono riconducibili a un insieme di decisioni individuali, essi non sono soggetti a un obbligo di firma siffatto, ma unicamente all’obbligo di notifica derivante dall’articolo 297, paragrafo 2, terzo comma. Ciò vale anche per le motivazioni che accompagnavano gli atti controversi, come notificate a Hamas, che non rientrano nella natura generale di tali atti, bensì nell’aspetto di questi ultimi che è riconducibile a un insieme di decisioni individuali. Pertanto, il presidente del Consiglio non deve firmare, oltre all’atto contenente una motivazione di carattere generale delle misure restrittive, la motivazione individuale relativa a un atto del genere. È sufficiente che quest’ultima motivazione sia debitamente autenticata con altri mezzi.
Secondo la Corte, l’interpretazione dell’articolo 15 del regolamento interno del Consiglio conduce alla stessa soluzione. Poiché tale articolo deve essere letto alla luce delle disposizioni pertinenti del Trattato, esso non può essere interpretato nel senso che imponga al presidente e al segretario generale di tale istituzione un obbligo di firma più rigoroso di quello derivante dall’articolo 297, paragrafo 2, primo comma, TFUE. La Corte sottolinea che un obbligo formale siffatto di sottoscrizione della motivazione individuale non può essere dedotto neppure dall’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 296 TFUE. I requisiti derivanti da tale obbligo non possono infatti confondersi con quelli relativi all’autenticazione di un atto dell’Unione, poiché il controllo del rispetto di quest’ultimo requisito precede qualsiasi altro controllo di tale atto. La Corte dichiara quindi fondato il primo motivo di impugnazione e annulla la sentenza del Tribunale.
Poiché la causa era matura per la decisione, conformemente all’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte, la Corte constata, in terzo luogo, che il Consiglio ha prodotto documenti comprovanti che le motivazioni erano state adottate simultaneamente agli atti controversi firmati dal presidente e dal segretario generale del Consiglio ai quali esse erano unite in modo inscindibile e che Hamas non invoca alcun indizio atto a mettere in discussione la perfetta corrispondenza tra il testo delle motivazioni che gli sono state notificate e quello adottato dal Consiglio. Poiché Hamas non ha validamente contestato l’autenticità di tali motivazioni, la Corte conclude per il rigetto nella sua interezza del ricorso proposto da Hamas.
[1]Sentenza del 4 settembre 2019, Hamas/Consiglio (T-308/18, EU:T:2019:557).
[2]Decisione (PESC) 2018/475 del Consiglio, del 21 marzo 2018, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione (PESC) 2017/1426 (GU 2018, L 79, pag. 26); regolamento di esecuzione (UE) 2018/468 del Consiglio, del 21 marzo 2018, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2017/1420 (GU 2018, L 79, pag. 7); decisione (PESC) 2018/1084 del Consiglio, del 30 luglio 2018, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione (PESC) 2018/475 (GU 2018, L 194, pag. 144); regolamento di esecuzione (UE) 2018/1071 del Consiglio, del 30 luglio 2018, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2018/468 (GU 2018, L 194, pag. 23).
[3]Ai sensi dell’articolo 15 del regolamento interno del Consiglio, rubricato «Firma degli atti»: «In calce al testo degli atti adottati dal Parlamento europeo e dal Consiglio conformemente alla procedura legislativa ordinaria e degli atti adottati dal Consiglio è apposta la firma del presidente in carica al momento della loro adozione e quella del segretario generale. Il segretario generale può delegare il suo potere di firma a direttori generali del segretariato generale». [Decisione 2009/937/UE del Consiglio, del 1° dicembre 2009, relativa all’adozione del suo regolamento interno (GU 2009, L 325, pag. 35)].
[4]Sentenza del 15 giugno 1994, Commissione/BASF e a. (C-137/92 P, EU:C:1994:247).