WS è cittadino dello Sri Lanka. VR è cittadino del Pakistan. Entrambi risiedono e lavorano regolarmente in Italia. WS è titolare di un permesso unico di lavoro, mentre VR è titolare di un permesso di soggiorno di lunga durata.
WS e VR hanno a carico i rispettivi familiari (moglie e figli), anch’essi cittadini dei rispettivi Paesi extra Ue d’origine, e per loro beneficiano, secondo la legge italiana, di assegni familiari.
In base alla legge italiana, tali assegni sono stati tuttavia negati dall’INPS a WS e a VR per i periodi nei quali i loro familiari a carico sono rimasti residenti nei rispettivi Paesi d’origine.
WS e VR si sono allora rivolti alla giustizia italiana, chiedendo il riconoscimento degli assegni familiari anche per i suddetti periodi.
Le cause sono attualmente pendenti in ultimo grado davanti alla Corte suprema di cassazione, che ha chiesto alla Corte di giustizia se il principio di uguaglianza di trattamento, consacrato nelle direttive 2011/98 e 2003/109, osti ad una legge nazionale, come quella italiana, che, esclude il diritto dei cittadini extra Ue, titolari di permesso unico o soggiornanti di lunga durata, ad una prestazione di sicurezza sociale quale gli assegni familiari, nel caso in cui i loro familiari a carico siano residenti in un Paese extra Ue, mentre riconosce tale diritto ai cittadini di detto Stato membro (nella specie, ai cittadini italiani) che si trovano nella stessa situazione, cioè i cui familiari a carico risiedono in un Paese extra Ue.
Con le odierne sentenze, la Corte ricorda che, in mancanza di armonizzazione a livello di Unione dei regimi di sicurezza sociale, spetta a ciascuno Stato membro stabilire le condizioni per la concessione delle prestazioni di sicurezza sociale nonché l’importo di tali prestazioni e il periodo per il quale sono concesse. Tuttavia, ai sensi delle direttive, nell’esercitare tale facoltà, gli Stati membri devono rispettare il principio di parità di trattamento tra cittadini extra Ue soggiornanti di lungo periodo o ammessi nello Stato membro a fini lavorativi, da un lato, e cittadini nazionali, dall’altro, per quanto riguarda, in particolare, le prestazioni sociali.
Per quanto riguarda i soggiornanti di lungo periodo, la Corte rileva che lo Stato membro interessato può limitare la parità di trattamento ai casi in cui il soggiornante di lungo periodo, o il familiare per cui questi chiede la prestazione, ha eletto dimora o risiede abitualmente nel suo territorio. La ragione di ciò è che il raggiungimento dell’obiettivo di integrazione perseguito dalla direttiva 2003/109 può essere agevolato dalla presenza del soggetto sul territorio. Pertanto, tale direttiva pone quale regola generale la parità di trattamento, ma elenca delle possibili deroghe che gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire.
La Corte sottolinea, tuttavia, che tali deroghe valgono solo se lo Stato membro abbia chiaramente espresso l’intenzione di avvalersene. Orbene, l’Italia non ha espresso, in sede di recepimento della direttiva 203/109, l’intenzione di avvalersi della deroga alla parità di trattamento consentita dalla direttiva stessa.
Pertanto, è contraria al diritto dell’Unione la normativa italiana che rifiuta o riduce una prestazione di sicurezza sociale al cittadino extra Ue, titolare di un permesso unico o soggiornante di lungo periodo, per il fatto che i suoi familiari risiedono in un Paese terzo, mentre la stessa prestazione è accordata ai cittadini italiani indipendentemente dal luogo in cui i loro familiari risiedono.