Secondo l’avvocato generale Bobek, gli Stati membri devono accordare un indennizzo a qualsiasi vittima di reato intenzionale violento, indipendentemente dal luogo di residenza. Sebbene l’indennizzo non corrisponda al risarcimento totale dei danni, il suo importo non può essere puramente simbolico…
Nell’ottobre del 2005, la sig.ra BV è stata vittima di violenza sessuale. Il reato è stato commesso in Italia, suo Paese di residenza. Gli autori del reato sono stati condannati alla reclusione e a una provvisionale immediatamente esecutiva di € 50,000 a suo favore. Tuttavia, la vittima non è riuscita a ottenere tale importo in quanto gli autori del reato si sono resi latitanti.
Nel 2009, BV ha convenuto in giudizio lo Stato italiano dinanzi ai giudici italiani, chiedendo il risarcimento dei danni per la mancata trasposizione, da parte dell’Italia, della direttiva 2004/80/CE relativa all’indennizzo delle vittime di reato[1].
Nel 2016, una sentenza della Corte di giustizia ha accertato che l’Italia aveva violato tale direttiva[2]. Lo stesso anno, l’Italia ha introdotto una legge[3] che stabiliva, retroattivamente, a partire dal 30 giugno 2005, un sistema di indennizzo nazionale applicabile sia alle situazioni interne sia a quelle transfrontaliere. In particolare, per le vittime di violenza sessuale, veniva previsto un importo fisso di € 4,800 a titolo di indennizzo a carico dello Stato italiano quando la vittima non fosse in grado di ottenere un risarcimento dall’autore del reato.
La Corte Suprema di Cassazione (Italia), giudice del rinvio, chiamata a pronunciarsi nella causa di BV in ultimo grado, chiede alla Corte se la direttiva imponga a ogni Stato membro di introdurre un sistema di indennizzo nazionale applicabile solo alle vittime in situazioni transfrontaliere o a tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi nel rispettivo territorio. Inoltre, il giudice del rinvio chiede se l’indennizzo fissato dalla legge italiana in € 4,800 per le vittime di violenza sessuale sia «equo ed adeguato», conformemente alla direttiva.
Nelle odierne conclusioni, l’avvocato generale Michal Bobek ritiene che la Corte debba rispondere alla prima questione nel senso che la direttiva impone agli Stati membri di istituire sistemi di indennizzo nazionali per qualsiasi vittima di reato intenzionale violento commesso nei rispettivi territori, indipendentemente dal luogo di residenza della vittima.
Secondo l’interpretazione dell’avvocato generale, la direttiva stabilisce due diversi obblighi per gli Stati membri: 1) la creazione di un sistema di cooperazione volto a facilitare l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere e 2) la predisposizione di un sistema nazionale di indennizzo applicabile in presenza di qualsiasi reato intenzionale violento commesso nei rispettivi territori.
L’avvocato generale osserva che questa interpretazione spiega perché siano stati previsti due termini distinti per la trasposizione della direttiva negli ordinamenti nazionali: uno (anteriore) per il sistema di indennizzo e uno (successivo) per il sistema di cooperazione.
Nonostante l’ambiguità della direttiva, l’avvocato generale individua tre argomenti a sostegno della proposta interpretazione.
In primo luogo, i diritti sanciti dall’articolo 1 (dignità umana) e dall’articolo 6 (diritto alla libertà e alla sicurezza) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») sono garantiti a chiunque.
In secondo luogo, l’articolo 21 della Carta (divieto di discriminazione) non consente di trattare diversamente due tipi di situazioni comportanti entrambe elementi transfrontalieri.
Secondo il testo della direttiva, si è in presenza di una situazione transfrontaliera quando un reato intenzionale violento è stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede («vittima itinerante»). Esistono, tuttavia, delle situazioni non espressamente menzionate nella direttiva, nelle quali l’autore del reato, e non la vittima, si è avvalso della sua libertà di circolazione («reo itinerante»). Sono proprio queste ultime le situazioni in cui l’autore del reato può facilmente rendersi latitante ritornando semplicemente nel suo Paese. Pertanto, sarebbe irragionevole escludere tali casi dall’ambito di applicazione della direttiva.
Infine, l’avvocato generale espone l’argomento della separazione dei poteri tra il sistema legislativo e il sistema giudiziario.
La Commissione afferma che il Consiglio intendeva escludere dall’ambito di applicazione della direttiva le norme sull’indennizzo alle vittime nelle situazioni interne (non transfrontaliere). Tuttavia, tale intenzione non è chiaramente desumibile, secondo l’avvocato generale, né dal testo della direttiva né dai suoi lavori preparatori. In ogni caso, la volontà soggettiva del legislatore storico che non sia chiaramente espressa in alcun punto della legislazione in concreto adottata non può essere considerata determinante e quindi vincolante per i giudici.
Per quanto riguarda la seconda questione sollevata dalla Corte Suprema di Cassazione, l’avvocato generale Bobek suggerisce alla Corte di dichiarare che l’indennizzo di una vittima è «equo ed adeguato», ai sensi della direttiva, quando fornisce un contributo significativo alla riparazione del danno subito dalla vittima. In particolare, l’importo dell’indennizzo concesso non può essere talmente esiguo da divenire puramente simbolico, o da rendere la sua utilità per la vittima, in pratica, trascurabile o marginale.
L’avvocato generale ritiene che gli Stati membri, che godono di un’ampia discrezionalità in questa materia, possano determinare l’indennizzo quale somma forfettaria o importo standardizzato.
[1] Direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato (GU 2004 L 261 pag. 15).
[2] Causa C-601/14, Commissione/Italia. V. anche comunicato stampa n. 109/16. La Corte ha dichiarato, in particolare, che, non avendo garantito un indennizzo equo e adeguato a tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi in situazioni transfrontaliere, l’Italia era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi della direttiva.
[3] Legge 7 luglio 2016, n. 122 Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea — Legge europea 2015-2016, e succ. modif.