Corte UE: prima di eseguire MAE si deve escludere in concreto rischio trattamento inumano

ML, cittadino ungherese, è stato perseguito penalmente in Ungheria per percosse e lesioni, danneggiamento, truffa semplice e furto con scasso. Avendolo condannato in contumacia a una pena privativa della libertà di un anno e otto mesi, il Nyiregyházai Járásbíróság (Tribunale distrettuale di Nyiregyhéza, Ungheria) ha emesso un mandato d’arresto europeo nei suoi confronti ai fini dell’esecuzione di detta pena in Ungheria.

 

A partire dal 23 novembre 2017, ML è in stato di l’arresto provvisorio in Germania ai fini dell’estradizione.

Lo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land, Brema, Germania, in prosieguo: l’OLG Bremen) nutre tuttavia dubbi, alla luce delle condizioni di detenzione esistenti in Ungheria, in merito alla possibilità di consegnare ML alle autorità ungheresi. Infatti, detto giudice ritiene di disporre di elementi comprovanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate nelle condizioni di detenzione in Ungheria[1], cosicché ML potrebbe ivi correre un rischio reale di subire un trattamento inumano o degradante[2]. Sulla scorta della sentenza della Corte di giustizia nelle cause Aranyosi et Căldăraru[3], l’OLG Bremen ritiene quindi necessario raccogliere informazioni supplementari relativamente alle condizioni nelle quali ML potrebbe essere detenuto in Ungheria. In tale contesto, esso chiede alla Corte ulteriori precisazioni in merito agli atti da compiere.

Nell’odierna sentenza, la Corte sottolinea, anzitutto, di non essere interrogata in merito all’esistenza di carenze sistematiche o generalizzate delle condizioni di detenzione in Ungheria. Se è vero che essa risponde all’OLG Bremen partendo dalla premessa dell’esistenza di tali carenze, siffatta premessa rientra tuttavia nell’esclusiva responsabilità dell’OLG Bremen e spetta a quest’ultimo verificarne l’esattezza tenendo conto dei dati debitamente aggiornati.

La Corte constata quindi, in primo luogo, che, anche se lo Stato membro emittente prevede, come l’Ungheria a partire dall’inizio del 2017[4], mezzi di ricorso volti a verificare la legittimità delle condizioni di detenzione alla luce dei diritti fondamentali, le autorità giudiziarie dell’esecuzione restano obbligate a procedere ad un esame individuale della situazione di ciascuna persona interessata, al fine di assicurarsi che la loro decisione sulla consegna di tale persona non esporrà quest’ultima a un rischio reale di subire un trattamento inumano o degradante a causa delle predette condizioni.

In secondo luogo, la Corte ricorda che le autorità giudiziarie dell’esecuzione chiamate a decidere sulla consegna di una persona che è oggetto di un mandato d’arresto europeo devono valutare, in modo concreto e preciso, se, nelle circostanze di specie, sussista un rischio reale che nello Stato membro emittente tale persona sarà sottoposta a un trattamento inumano o degradante.

La Corte precisa a tal proposito che dette autorità sono tenute unicamente ad esaminare le condizioni di detenzione negli istituti penitenziari nei quali, secondo le informazioni a loro disposizione, sia concretamente previsto che la persona interessata sarà detenuta, anche in via temporanea o transitoria. La conformità, alla luce dei diritti fondamentali, delle condizioni di detenzione negli altri istituti penitenziari dove detta persona potrebbe eventualmente essere incarcerata in seguito rientra nella sola competenza degli organi giurisdizionali dello Stato membro emittente.

In terzo luogo, la Corte dichiara che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve verificare solo le condizioni di detenzione concrete e precise della persona interessata che siano rilevanti ai fini di stabilire se essa correrà un rischio reale di trattamento inumano o degradante. In tal senso, la pratica di un culto, la possibilità di fumare, le modalità di lavaggio dei vestiti nonché l’installazione di sbarre o di persiane alle finestre delle celle sono, in linea di principio, aspetti della detenzione privi di rilevanza evidente.

In ogni caso, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione che reputi necessario chiedere all’autorità giudiziaria emittente di fornire con urgenza informazioni complementari relativamente alle condizioni di detenzione deve assicurarsi che le sue richieste, per numero e portata, non finiscano col paralizzare il funzionamento del mandato d’arresto europeo, il quale è volto proprio ad accelerare e a facilitare le consegne nello spazio comune di libertà, di sicurezza e di giustizia.

In quarto luogo, qualora l’autorità giudiziaria emittente garantisca[5] che la persona interessata non sarà sottoposta ad un trattamento inumano o degradante a causa delle sue concrete e precise condizioni di detenzione a prescindere dall’istituto penitenziario in cui sarà incarcerata, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, tenuto conto della fiducia reciproca che deve sussistere tra le autorità giudiziarie degli Stati membri, e sulla quale si fonda il sistema del mandato d’arresto europeo, deve fidarsi di tale garanzia, perlomeno in assenza di qualsivoglia elemento preciso che permetta di ritenere che le condizioni di detenzione esistenti all’interno di un determinato istituto penitenziario siano contrarie al divieto di trattamenti inumani o degradanti.

Qualora siffatta garanzia non promani da un’autorità giudiziaria, come nel presente caso, l’affidabilità di una simile garanzia deve essere determinata procedendo a una valutazione globale dell’insieme degli elementi a disposizione dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione.

Nella fattispecie, la Corte ritiene che la consegna di ML alle autorità ungheresi sembri consentita nel rispetto del suo diritto fondamentale di non essere sottoposto a un trattamento inumano o degradante, tuttavia la verifica di tale circostanza compete all’OLG Bremen.

Infatti, a parere dell’OLG Bremen stesso, le informazioni a sua disposizione in merito alle condizioni di detenzione nell’istituto penitenziario di Szombathely, nel quale è pacifico che ML dovrebbe scontare la parte sostanziale della sua pena privativa della libertà, inducono ad escludere l’esistenza di un rischio reale che ML sia oggetto di un trattamento inumano o degradante. Inoltre, per quanto concerne l’istituto  penitenziario di Budapest, nel quale ML sarà detenuto durante le prime tre settimane prima di essere trasferito a Szombathely, la garanzia fornita dal ministero della Giustizia ungherese e le informazioni di cui dispone il pubblico ministero di Brema sembrano permettere di considerare che le condizioni di detenzione all’interno di tale istituto penitenziario, attraverso il quale transita chiunque sia oggetto di un mandato d’arresto europeo emesso dalle autorità ungheresi, non sono neanch’esse in contrasto con tale diritto fondamentale.

[1] L‘OLG Bremen richiama a tal riguardo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 10 marzo 2015, Varga e altri c. Ungheria.

[2] Ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

[3] Sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, v. anche il comunicato stampa n° 36/16), che è stata emessa in risposta a una domanda di pronuncia pregiudiziale del medesimo organo giurisdizionale tedesco.

[4] A partire dal 1° gennaio 2017, i detenuti in Ungheria possono contestare, nell’ambito di un ricorso giurisdizionale, la legittimità delle loro condizioni di detenzione alla luce dei diritti fondamentali.

[5] Là dove tale garanzia sia apportata o, quanto meno, approvata dall’autorità giudiziaria emittente, ove necessario, previa richiesta di assistenza all’autorità centrale o a una delle autorità centrali dello Stato membro emittente.