Corte Ue: Rifiuti con “codici a specchio”: se non si può determinarne la composizione o valutarne le proprietà pericolose, vanno classificati come pericolosi in virtù del principio di precauzione…
Varie persone – una trentina – sono sottoposte, in Italia, a procedimenti penali concernenti reati connessi al trattamento di rifiuti pericolosi nelle loro rispettive qualità di gestori di discariche, di società di raccolta e di produzione di rifiuti nonché di società incaricate di effettuare le analisi chimiche dei rifiuti.
È contestato loro, in relazione a rifiuti ai quali potevano essere assegnati sia codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi («codici speculari» o «codici a specchio»), di aver classificato e trattato tali rifiuti come non pericolosi in base ad analisi chimiche non esaustive e parziali.
Nell’ambito del procedimento di sequestro delle discariche implicate nella vicenda e dei beni appartenenti agli indagati, la Corte suprema di cassazione chiede alla Corte di giustizia di interpretare certe disposizioni della direttiva sui rifiuti[1] e della decisione della Commissione che stabilisce una lista di rifiuti[2]. Il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il detentore di un rifiuto con codici speculari, la cui composizione non è immediatamente nota, debba, ai fini della classificazione, determinare detta composizione e ricercare se il rifiuto in questione contenga una o più sostanze pericolose onde stabilire se tale rifiuto presenti caratteristiche di pericolo. In caso di risposta affermativa a tale domanda, la Cassazione chiede quale debba essere il grado di determinatezza della valutazione e quali metodi possano o debbano essere utilizzati. La giurisdizione nazionale chiede, inoltre, se, in caso di dubbio riguardo alle caratteristiche di pericolo di un rifiuto con codici speculari, o in caso di impossibilità di determinare con certezza l’assenza di sostanze pericolose in tale rifiuto, quest’ultimo debba, in applicazione del principio di precauzione, essere classificato come rifiuto pericoloso.
Con l’odierna sentenza, la Corte premette che la direttiva sui rifiuti assoggetta la gestione dei rifiuti pericolosi a condizioni specifiche concernenti la loro tracciabilità, il loro imballaggio e la loro etichettatura. Inoltre, i rifiuti pericolosi devono essere trattati esclusivamente in impianti appositamente designati che abbiano ottenuto un’autorizzazione speciale. Pertanto, il detentore di un rifiuto con codici speculari, in quanto responsabile della sua gestione, deve raccogliere le informazioni sulla sua composizione e, in tal modo, attribuire a tale rifiuto il codice appropriato.
La Corte rileva che esistono differenti metodi per raccogliere tali informazioni, tra i quali la raccolta di dati sul processo di formazione e trattamento del rifiuto in questione nonché il campionamento e l’analisi chimica, fermo restando che detti metodi devono offrire garanzie di efficacia e di rappresentatività.
La Corte osserva che la direttiva sui rifiuti non impone obblighi irragionevoli, dal punto di vista tecnico o dal punto di vista economico, a carico dei responsabili della gestione dei rifiuti, poiché essa opera un bilanciamento tra il principio di precauzione[3], da un lato, e, dall’altro, la fattibilità tecnica e la praticabilità economica delle misure di tutela ambientale, quale la classificazione di un rifiuto con codici speculari come rifiuto pericoloso. Di conseguenza, il detentore di un rifiuto con codici speculari, la cui composizione non è immediatamente nota, non è obbligato, in vista della sua classificazione come rifiuto pericoloso o come rifiuto non pericoloso, a ricercare la presenza di tutte le sostanze pericolose ma, conformemente al principio di precauzione, solo di quelle che possono ragionevolmente trovarsi in tale tipo di rifiuto.
La Corte sottolinea, poi, che, il detentore di un rifiuto, dopo avere raccolto le informazioni sulla sua composizione, deve procedere alla valutazione delle eventuali caratteristiche di pericolo di detto rifiuto o sulla base del calcolo delle concentrazioni delle sostanze pericolose presenti e in funzione dei valori soglia indicati, per ogni sostanza, nella direttiva sui rifiuti, o sulla base di una prova, o sulla base di tali due metodi. In quest’ultimo caso, prevalgono i risultati della prova.
La Corte constata che i metodi di analisi e di prova non sono stati armonizzati a livello dell’Unione. Pertanto, possono essere presi in considerazione anche metodi di prova sviluppati a livello nazionale, a condizione che siano riconosciuti a livello internazionale.
Infine, la Corte evidenzia che, allorché il detentore di un rifiuto con codici speculari si trovi nell’impossibilità pratica, non derivante dal proprio comportamento, di determinare la presenza di sostanze pericolose in detto rifiuto o di valutarne le caratteristiche di pericolo, il principio di precauzione impone di classificare tale rifiuto come rifiuto pericoloso.
[1] Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (GU 2008, L 312, pag. 3), come modificata dal regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014 (GU 2014, L 365, pag. 89, e rettifica in GU 2017, L 42, pag. 43).
[2] Decisione 2000/532/CE della Commissione, del 3 maggio 2000, che sostituisce la decisione 94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all’articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi (GU 2000, L 226, pag. 3), come modificata dalla decisione 2014/955/UE della Commissione, del 18 dicembre 2014 (GU 2014, L 370, pag. 44).
[3] Il principio di precauzione, previsto dall’art. 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, è uno dei fondamenti della politica dell’Unione in materia ambientale.