Ogni pediatra può trovare tra i suoi assistiti dal 10 al 15% di famiglie fragili che, tendenzialmente, diventeranno ancora più fragili. Dati che fanno scopa con l’allerta della Caritas sull’emergenza ‘nuovi poveri’ segnata da un +14% di persone cadute in situazioni di indigenza rispetto all’anno scorso. E il futuro, con il tasso di disoccupazione che sale al 9%, non lascia sperare per il meglio.
“Ci sono famiglie che non accedono né a ristori né a casse integrazioni e allo stesso tempo non possono nemmeno svolgere i lavori che praticavano in epoca pre-Covid. Queste famiglie sono invisibili alle stesse istituzioni governative e non saranno mai raggiunte dai fondi europei, proprio perché non verranno rintracciate. Noi pediatri non vinciamo da soli, in questa battaglia alla povertà dobbiamo creare una rete che ci colleghi a nuove figure professionali, come l’infermiere pediatrico domiciliare, ai servizi sociali comunali spesso di difficile individuazione, alle realtà del terzo settore e al volontariato”.
A parlare è Giuseppe Di Mauro, presidente della Società italiana di Pediatria (SIPPS), che oggi lancia un appello alle istituzioni: “Si apra un tavolo di lavoro, anche in vista del Piano Infanzia che potrebbe nascere con una parte delle risorse previste nel Recovery Fund, perché non bastano più le consensus su come curare le singole patologie- rimarca lo specialista- ora c’è bisogno di più figure professionali che insieme intercettino le situazioni di fragilità per poi prendersene cura”.
Al tavolo dovrebbero sedersi i servizi sociali comunali, gli infermieri, le Società scientifiche di Pediatria, la Caritas, le associazioni di volontariato, il terzo settore e istituzioni come Regioni e Comuni.
“A pagare il prezzo più alto di questa crisi pandemica sono le famiglie con figli piccoli e coppie di genitori di giovane età. Ormai un numero crescente di madri e padri non sa nemmeno se nei prossimi mesi riuscirà a mettere un piatto a tavola e, come si sa, la malnutrizione, in particolare nei primi 1.000 giorni di vita- sottolinea Di Mauro- può causare gravi danni alla salute, anche dal punto di vista neurologico”. Cosa si può fare? In primis la SIPPS propone di strutturare su tutto il territorio nazionale la presenza dell’operatore di visita domiciliare (o infermiere di famiglia). Non è un’utopia, in alcune regioni (come l’Emilia Romagna) già esiste ed è previsto anche nel decreto legge del 19 maggio relativo alle ‘Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19’. Nell’ottica di una possibile divisione dei lavori, potrebbe competere “al pediatra la gestione dei casi pediatrici (case management) in stretto contatto col servizio dell’infermiere di comunità preparato nel settore infantile. Si potrebbe prevedere quindi- precisa Di Mauro- una figura dell’equipe del territorio completamente dedicata all’attenzione ai bambini, con un rapporto operatore-bambini di 1 ogni 500 nati per territorio”.
In realtà la presenza di un infermiere di comunità sarebbe gradita al 91% degli italiani (secondo gli ultimi dati Censis-Fnopi), che la considerano una soluzione per potenziare le terapie domiciliari, riabilitative e la sanità di territorio. “Il singolo pediatra non ce la può fare da solo- ripete Di Mauro- serve una rete che metta insieme professionalità e servizi differenti. Il pediatra di famiglia ha già un ruolo di advocacy, sensibilizza, dà strumenti e più consapevolezza alle famiglie, ma servono istituzioni e un lavoro di rete per prevenire i danni indiretti del Covid-19. Altrimenti- avvisa- ci ritroveremo tra 5-10 anni con tanti adolescenti non vaccinati o portatori di patologie che si sarebbero potute individuare precocemente nei primi 1.000 giorni di vita. Dobbiamo tenere a cuore il presente dei bambini, ma anche il futuro delle prossime generazioni da un punto di vista neuro-cognitivo, psicologico e sanitario. Se tra 20 anni troveremo costi sanitari maggiorati e una popolazione di adulti con più problematiche sanitarie a causa di un minor numero di vaccinazioni, visite filtro e screening conclude Di Mauro- allora significherà che non abbiamo fatto fino in fondo il nostro lavoro”.