Da settimane l’Italia sta affrontando una profonda crisi creata dalla diffusione del Covid-19. Non si tratta solo di emergenza sanitaria, ma anche economica e, per affrontare questo aspetto, fra le misure messe in atto dal governo Conte c’è quello dei prestiti alle imprese che, però, in assenza di altre misure potrebbe non sortire gli esiti sperati. Ad affermarlo una proposta a firma di Jacopo Vavalli – docente presso la Scuola Nazionale dell’Amministrazione in materia di contratti – e Diego Palano – uno dei nomi più noti del web italiano con nel curriculum marchi come Dalani.it e Facile.it e un master al MIT di Boston.
Secondo i due autori, l’obiettivo di ‘inondare’ imprese e partite IVA di denaro per una loro auspicata ripartenza potrebbe ritenersi di primo acchito tra le poche soluzioni in grado di garantire la liquidità che serve al tessuto economico produttivo italiano, ma è altrettanto vero che occorre capire quale possa essere il risultato che la stessa produce.
Se le imprese e i professionisti dovessero incassare i soldi stanziati dalle Banche con la finalità di poter ripartire, ma si trovassero a far fronte al pagamento di ingenti tasse e imposte, è chiaro che si potrebbe creare un circolo vizioso anziché virtuoso.
A rendere inefficiente il sistema previsto dal governo sono principalmente due ragioni secondo Vavalli e Palano: la prima è che il total tax & contribution rate dell’Italia relativo alle imprese risulta nel 2018 pari al 59,1% del reddito di impresa, a fronte di una media globale pari al 40,5 ed europea pari al 38,9% (dati tratti dal Rapporto “Paying Taxes 2018” realizzato da Banca Mondiale e PwC). La seconda è che, una volta finito il periodo delle sospensioni fiscali dettate dall’emergenza epidemiologica in atto, le stesse imprese – nonché le partite IVA, non meno colpite dal carico fiscale – si ritroveranno a dover fronteggiare sia il pagamento delle imposte correnti sia di quelle passate. Lo Stato, insomma, concederebbe garanzie per far ottenere liquidità, che però rischierebbe di essere in buona parte sottratta ai privati per onorare debiti di natura fiscale.
«Per dirla con Winston Churchill», scrivono Vavalli e Palano, «una nazione che si tassa nella speranza di diventare prospera è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico. Eppure una soluzione esiste e andrebbe applicata prima che diventi troppo tardi.».
Mai come in questa delicata fase storica il fatto di ridurre sensibilmente il carico fiscale a cittadini e imprese appare imprescindibile perché non ci si può sollevare in piedi dentro un secchio tirando il manico. Il punto fondamentale, sostengono nel loro documento Vavalli e Palano, è che qui non si discute di garantire soluzioni per la prosperità di un paese ma per evitarne una crisi irreversibile.
Sarebbe necessario, concludono gli autori della proposta, ridurre il carico fiscale sino a dimezzarlo, a tutti i livelli. Con l’obiettivo futuro di rientrare gradualmente, se del caso, quanto meno nella media dei paesi europei. Realizzare un dimezzamento uniforme di tutte le aliquote di imposta sul reddito da lavoro, sul reddito delle società e sulle attività produttive (IRPEF, IRES e IRAP) del secondo semestre 2020, rappresenterebbe un intervento avente un impatto sicuro, immediato e notevole sulla possibilità di ripresa dell’economia reale, sulla produzione e sulla occupazione, sulla capacità di spesa degli italiani. Una tale ondata di liquidità, seppur subordinata al lavoro e alla produzione, verrebbe parzialmente reintrodotta in circolazione con effetto immediato.