L’esperto, con una cronistoria, ha evidenziato le ombre di una pandemia “lungamente annunciata e, nello stesso tempo, inutilmente annunciata, perché, fin dal 2007, questi tipi di virus erano stati studiati e dimostrati come estremamente pericolosi, a cominciare dalla prima Sars del 2002. Poi, nel 2015 e nel 2017, la letteratura scientifica aveva dimostrato che la pandemia era possibile o addirittura probabile, e alcuni laboratori avevano lavorato su questi virus da pipistrello, dimostrandone la pericolosità. Tutti i Paesi, dal 2016, erano stati invitati dall’Oms ad aggiornare i piani pandemici, ma molti, soprattutto in Occidente, non l’hanno fatto. Anche l’Italia aveva preparato molto poco. Arrivando al 2020, la ‘Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana’ aveva definito l’Italia in emergenza pandemica il 31 gennaio, e ancora una volta non c’è stata una risposta immediata: non si sono preparati i tamponi e i dispositivi di protezione per gli operatori sanitari. Poi, il 22 febbraio sono stati scoperti i primi cluster in Lombardia e Veneto, e da allora l’emergenza è scattata con molto ritardo”.
In questo primo periodo, Ernesto Burgio trova “poche luci, perché l’Oms ha aspettato i primi di marzo per dichiarare una pandemia in atto. L’Italia si è chiusa in un lockdown precipitoso e questo è un aspetto positivo che ha fermato la pandemia e salvato tutto il Centro Sud”.
Terminata la prima fase c’è stato un lento ritorno alla normalità, fino ad arrivare all’estate, quando “abbiamo abbassato la guardia- spiega l’esperto- mentre alcuni di noi avvertivano che, a livello scientifico, il virus non sarebbe sparito per almeno due anni, adattandosi di più alle vie aeree superiori e inferiori, e che a settembre lo avremmo ritrovato in forma massiva. Così è stato- prosegue lo specialista della Società italiana di Pediatria preventiva e sociale- e si sono riscontrati aumenti di contagio soprattutto in alcuni Paesi europei. Più volte la Sipps ha proposto un piano pandemico, inascoltato, che prevederebbe 4 linee di azione: veri percorsi alternativi, con ospedali militari per evitare che il virus entri il meno possibile negli ospedali e negli ambulatori; percorsi di triage per una diagnosi effettuata fuori dal sistema sanitario; l’istituzione di luoghi di quarantena; e, infine, delle squadre di monitoraggio che escludano gli operatori sanitari e che includano invece studenti e volontari. Questo- conclude Burgio-