“Siamo stati dimenticati. Adesso vogliamo verità e giustizia”. Sono queste le parole gridate oggi dai membri del Comitato nazionale Familiari vittime del Covid, riuniti in un sit-in davanti al ministero della Salute. “Ci dicono che non dobbiamo essere giustizialisti e che in passato si è fatto quel che si poteva. Ma noi siamo qui per dire ‘no’. Noi non siamo giustizialisti, siamo giusti”, dicono ancora. Sono venuti da tutta Italia, ma molti non vogliono parlare e raccontare la loro esperienza. Per alcuni il dolore è ancora troppo forte, altri, invece, dichiarano di non fidarsi dei mezzi di informazione perché, dicono, “troppe volte le nostre parole sono state distorte”.
“Sono qui per dare voce a mio fratello morto a 47 anni in ospedale”, racconta Lorenza. “È stato ricoverato perché io per paura ho chiamato l’ambulanza, anche se la sua saturazione era perfetta e gli esami al Pronto Soccorso erano a posto. In una settimana l’ho sentito due volte, poi durante le due settimane di terapia intensiva niente. Sono stata avvisata il giorno che è morto”. Lorenza, dice, ha visionato le cartelle cliniche da cui si è accorta che suo fratello “aveva preso un’infezione ospedaliera, chi mi dice che non sia quella che lo ha fatto morire?”.
Il fratello di Lorenza è stato ricoverato il 30 ottobre ed è morto il 22 novembre del 2020, in Veneto: “Per noi la seconda ondata è stata devastante. Si poteva fare tutto ovunque, a intermittenza, mentre gli ospedali erano tutti chiusi e non si poteva avere notizie dei propri cari. Non si riesce a farsene una ragione: come si può vedere una bara chiusa e non sapere chi c’è dentro?”.
Rispetto alle responsabilità sulla gestione della pandemia: “Mi auguro che chi ha avuto delle colpe, se le prenda. Noi familiari già stiamo portando le nostre pene sulla coscienza, è giusto che se le prendano anche gli altri”, conclude Lorenza.
“Ci sono stati restituiti gli effetti personali di mio padre come se fosse disperso nell’Oceano, ma era in un ospedale a cui non abbiamo potuto accedere neanche per dirgli addio. È stato messo, come tanti altri, in un sacco di spazzatura e poi in una bara”, racconta una signora di Lecce, il cui padre è morto di Covid nel 2021. Come alcuni altri partecipanti al sit-in, pensa che “un certo percorso terapeutico non era efficace, ma andavano sponsorizzati i vaccini e non si ascoltavano i medici che avevano un altro punto di vista terapeutico”.
In una parte delle persone presenti al sit-in c’è in effetti un certo scetticismo verso i vaccini, oltre alla convinzione che con altri approcci terapeutici, diversi dalla “tachipirina e vigile attesa” si sarebbero potute salvare più persone. “Quando i nostri cari sono arrivati in ospedale erano già trombotizzati dopo una settimana di tachipirina e vigile attesa, ma in questi percorsi è mancata la comunicazione tra i medici delle USCA, tra il medico di famiglia e la Sanità. Nessuno veniva a casa per capire cosa si potesse fare”, prosegue la signora leccese.
“L’inferno che abbiamo vissuto è un ‘Fine pena: mai’. L’ultima immagine che ci rimane è quella dei nostri cari spaventati a morte mentre salgono sul 118”, conclude.
Intanto, nei giorni scorsi, è stato avviato l’iter parlamentare per istituire una Commissione d’inchiesta sulla gestione della pandemia: “Chiediamo che non sia una Commissione amministrativa economica, quasi uno strumento di battaglia fra politici. A noi interessa una Commissione che faccia un’indagine a 360 gradi su quello che è accaduto e sulle cure mancate, che ascolti i Comitati e le associazioni dei familiari”, è stato il commento di Sabrina Gualini, presidente del Comitato, che nel corso della mattinata è stata ricevuta da due funzionari della segreteria del ministero.