Sono 222.241 i positivi al Covid in Italia secondo l’ultimo bollettino del 25 ottobre. Di questi, secondo i dati del ministero della Salute, 12.006 sono ricoverati nei reparti ordinari, altri 1.208 sono nelle terapie intensive mentre 209.027 sono in isolamento domiciliare. Numeri che salgono, ma come valutare il numero crescente dei ricoveri in terapia intensiva e subintensiva, termometro della virulenza del Covid? Qual è inoltre la situazione attuale in uno dei più grandi ospedali romani? L’agenzia di stampa Dire per fare il punto ha intervistato via Skype il professor Francesco Pugliese, Direttore del Dipartimento di Emergenza, Accettazione, Anestesia ed Aree Critiche del Policlinico Umberto I di Roma e Professore in Anestesia e Rianimazione presso l’Università Sapienza di Roma.
– Il virus ha ripreso la sua corsa tanto che ieri e’ stato firmato un nuovo Dpcm che prevede ulteriori restrizioni valide fino al 24 novembre. Sappiamo che le terapie intensive fungono da termometro: qual e’ la situazione all’interno del Policlinico Umberto I? Il numero e l’eta’ dei pazienti ricoverati e’ simile a marzo o ci sono delle differenze?
“Le differenze sono significative riguardo all’eta’ dei pazienti ricoverati. Infatti stiamo assistendo a un ingresso di pazienti con eta’ molto piu’ bassa rispetto alla prima fase della pandemia, in particolare a marzo ed aprile. Anche per quanto riguarda le terapie intensive l’eta’ dei soggetti è diversa, infatti abbiamo ricoverati attualmente anche pazienti sotto i 30 anni. Riguardo ai numeri, in questo momento al Policlinico Umberto I abbiamo 248 pazienti ricoverati. Di questi 24 sono in terapia intensiva, 20 in subintensiva: siamo quasi al limite con i posti di terapia intensiva ma oggi avremo già altri 10 posti letto. Per quel che riguarda invece l’accesso dei pazienti in Pronto Soccorso, si è modificata anche questa in maniera significativa per ciò che concerne la sintomatologia: si tratta di positivi che sono rimasti a casa e che hanno visto l’evoluzione della malattia e poi si sono rivolti al pronto Soccorso”.
– Gli anestesisti rianimatori sono schierati in prima linea nella gestione del paziente covid. Quali sono le operazioni che vengono effettuate quando prendete in carico un soggetto che necessita di assistenza respiratoria e dunque deve essere intubato?
“Le competenze della nostra disciplina sono molto ampie ed in centri come il nostro, iperspecialistico, vanno al di là della ‘semplice’ intubazione e ventilazione meccanica. Infatti noi siamo centro di riferimento della rete Ecmo della rete cioè di supporto extracorporeo e quindi abbiamo la possibilità di andare anche a effettuare terapie ‘estreme’ come quella della circolazione extracorporea. Questo è possibile grazie alla gestione autonoma che è stata garantita all’interno del nostro Policlinico universitario, che rende possibile dei percorsi all’avanguardia per quanto riguarda il trattamento di tutte le tipologie di pazienti. Questo ci è tornato utile in tempi di pandemia dandoci la possibilità di ‘utilizzare’ gli specializzandi dell’ultimo anno come forza lavoro entusiasta e con molte energie per far fronte a questa emergenza”.
SERVE PIÙ CONTROLLO SUL TERRITORIO
“PER EVITARE CORSA IN OSPEDALE”
A volte il paziente Covid con sintomi si trova a casa e non sa come gestire la situazione. A quel punto l’accesso al Pronto Soccorso e dunque in ospedale pare l’unica strada percorribile. Quale ruolo gioca allora una buona medicina territoriale in questa pandemia? Che inverno ci aspetta con l’influenza stagionale che sta per arrivare come ogni anno? L’agenzia di stampa Dire ha rivolto via Skype queste domande al professor Francesco Pugliese, Direttore del Dipartimento di Emergenza, Accettazione, Anestesia ed Aree Critiche del Policlinico Umberto I di Roma e Professore in Anestesia e Rianimazione presso l’Università Sapienza di Roma.
– Abbiamo parlato di terapia intensiva ma anche le subintensive all’interno di molti ospedali registrano il tutto esaurito. Secondo lei molti soggetti potrebbero essere curati in modo altrettanto efficace in domiciliare o strutture residenziali, in caso ad esempio di soggetti che abitano in piccole abitazioni dove l’isolamento è difficile da attuare?
“Sicuramente sì. Ciò non riguarda i pazienti con sintomatologia grave, pero’ esiste una quota parte dei pazienti che sono in degenza ordinaria che potrebbero essere gestiti in strutture chiamiamole residenziali e in domiciliare. Queste persone dovrebbero essere maggiormente affidate alla medicina del territorio prima di pensare a un accesso in ospedale. Quindi un controllo piu’ meticoloso sul territorio potrebbe rivelarsi efficace nel ridurre la corsa e il sovraffollamento all’interno degli ospedali”.
– Uno dei problemi legati alla pandemia è quello di lasciare indietro tutte le altre patologie, che oltretutto non aspettano. Questa seconda ondata secondo lei poteva essere evitata, o meglio contenuta? Inoltre che inverno ci aspetta considerando che anche l’influenza stagionale comincera’ a circolare?
“Non credo ci sia solo una responsabilità organizzativa bensì una responsabilità individuale di tutti noi. Forse ci siamo sentiti ad un certo punto, nel corso di questi mesi, deresponsabilizzati e abbiamo ripreso a condurre la nostra vita, per certi versi come giusto che sia, non considerando piu’ l’esistenza del virus e forse anche per colpa di qualche messaggio sbagliato. Il virus esiste e circola. Una maggiore attenzione alle regole sicuramente e’ fondamentale quando si vuole vivere all’esterno. Per quanto riguarda l’inverno che ci aspetta, ci auguriamo che questa nuova stretta riesca a resettare un po’ il sistema per permetterci di tornare a un minimo di vita sociale ma rispettando molto di più le regole anticontagio. Anche perché, ripeto, abbiamo capito che il virus esiste, non è cambiato e non si è indebolito e non abbiamo ancora terapie per contrastarlo ma solo di supporto”.