Le inchieste del Rapporto Sud del Sole 24 Ore: Crisi idrica: dal Sud solo il 28% dei progetti per il Recovery Plan e nessuno sul rischio idrogeologico. Cresce il water service devide tra Nord e Sud. Medici di famiglia frenati dalla burocrazia: l’inchiesta regione per regione. Riparte la corsa delle start up: la Campania sorpassa il Veneto. Calabria, la produzione di olio extra vergine cala del 40% …
Il nuovo numero del Rapporto Sud del Sole 24 Ore in edicola con il quotidiano di venerdì 11 dicembre in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna dedica il focus di apertura al Piano acqua per il Recovery Plan e al dato che solo il 27,8% dei progetti di infrastrutture idriche che potrebbero confluire nel Recovery Plan italiano proviene dalle regioni meridionali. Ne parla al Rapporto Sud Michaela Castelli, presidente di Utilitalia e di Acea. Utilitalia (Federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici dell’Acqua, dell’Ambiente, dell’Energia Elettrica e del Gas, in cui sono confluite Federutility e Federambiente) ha avviato un’analisi per individuare i progetti ritenuti dalle sue associate tali da poter essere inclusi nel Piano nazionale. Nei piani allo studio, infatti, su un totale di interventi statali per il settore che prevedono investimenti per 14,9 miliardi, la quota meridionale è di soli 3,8 miliardi. “Dal Mezzogiorno poche proposte e nessuna sul dissesto idrogeologico” specifica Castelli.
Intanto, cresce il water service divide tra l’Italia del Centro-Nord e quella del Sud. Il Centro Nord, nella gestione della risorsa acqua, è simile al resto d’Europa, mentre il Sud, è bloccato ai suoi atavici problemi. Questo il quadro emerso dal Rapporto «Acqua per tutti. Investimenti nel comparto idrico e ruolo dei soggetti industriali», a cura di Mario Rosario Mazzola, docente di costruzioni idrauliche dell’Università di Palermo e consulente del Governo per il Recovery Plan e riportato dal Rapporto Sud del Sole 24 Ore di venerdì 11 dicembre. Lo studio, svolto per Astrid, parla di perdite di acqua trasportata pari al 50%, carenza di depuratori e di sistemi fognari, difficoltà nello smaltimento dei fanghi. Le procedure di infrazione per l’85% riguardano il Sud proprio a causa di queste carenze. Esclusi i primi 10-20 operatori, la taglia media è ridotta: il 50% delle aziende ha un fatturato inferiore ai 10 milioni. Percentuale che sale all’80% al Sud. Aziende di tali dimensioni non possono affrontare – secondo la ricerca di Astrid – investimenti superiori a pochi milioni all’anno. Poche le multiutility italiane presenti nel Mezzogiorno, quasi inesistenti i gruppi stranieri. Ne è una prova il fatto che la maggiore capacità di spesa si sia registrata dove esistono gestori industriali di ambito regionale come AQP in Puglia, Abbanoa in Sardegna, Gori in Campania. In Italia, l’investimento medio annuo per abitante è pari a 37 euro; nel Mezzogiorno si attesta su 27. Alcune gestioni meridionali in economia registrano investimenti pro capite di 4 euro per abitante. Pur a fronte di un apporto più elevato di contributi pubblici (13 euro per abitante a fronte dei 7 di media nazionale).
In Campania la Gori ha completato la digitalizzazione della rete. Il Rapporto Sud di venerdì 11 dicembre chiarisce che la gestione industriale sperimentata nell’area vesuviana in attuazione della “Legge Galli” (tra i pochissimi casi nel Mezzogiorno), comincia a dare i suoi frutti. Tra il 2020 e il 2023 – si legge – sono programmati investimenti per 265 milioni. Con una media per abitante di 42 euro, 52 nel 2021. Parliamo del territorio dell’Ambito distrettuale sarnese vesuviano dove la gestione del servizio idrico integrato è stata affidata, dal 2002, a Gori, competente in 76 comuni della Campania, su un territorio di circa 900 kmq che ospita una popolazione di quasi 1.500.000 abitanti: una delle concentrazioni più alte d’Europa. Gli investimenti in digitalizzazione, in via di ultimazione su tutta la rete idrica di oltre 5.000 km, hanno consentito già nel 2019 di recuperare 5,8 milioni di mc d’acqua. Sul Rapporto Sud tutti i numeri dell’operazione.
In Puglia si gioca su tre assi il futuro della governance della risorsa acqua. Il Rapporto Sud spiega che da qui al 2050 i fabbisogni idrici cresceranno del 40% e per farvi fronte la Regione dovrà, nell’ordine, cercare nuove fonti o integrare quelle esistenti, continuare a risanare le reti e riutilizzare le acque depurate. Aqp, il soggetto gestore del servizio idrico integrato fino al 31 dicembre 2023, il suo piano ce l’ha: 1,384 miliardi di investimenti in 7 anni per ammodernare reti, fare r&s, continuare ad essere la più grande stazione appaltante del Sud.
In Sardegna a gestire il servizio, seppure con qualche criticità e non poche polemiche è Abbanoa, gestore unico del Servizio idrico integrato. Un “soggetto unico”, nato per standardizzare il servizio nell’isola, in sostituzione di 120 gestioni comunali in economia e di diverse aziende consorziate. L’azienda idrica, che ha 1.444 dipendenti e un fatturato annuo di 304,424 milioni, gestisce 46 grandi acquedotti di 4.300 chilometri, 7.700 chilometri di reti idriche urbane, 360 impianti di depurazione fognaria, 6.600 chilometri di reti fognarie, 1.800 impianti di sollevamento e 46 potabilizzatori. L’acqua arriva per il 72% da bacini artificiali, per il 17% da pozzi, per un 10% da sorgenti e per l’1% da altre strutture. Abanoa ha raggiunto un margine operativo di esercizio positivo per 62,43 milioni, chiarisce il supplemento economico del Sole 24 Ore di venerdì 11 dicembre.
A tal riguardo, il Rapporto Sud propone ai lettori il fondo a firma di Claudio De Vincenti, ex ministro della Coesione territoriale che, sulle pagine dell’inserto economico del Sole 24ore di questo venerdì, ha analizzato il tema di un piano per l’acqua all’interno del Recovery Plan in chiave meridionalista proponendo un cambio di marcia con un’alleanza tra pubblico e privato.
Il prossimo numero del Rapporto Sud destinato ai territori di Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, dedica un’ampia inchiesta al settore della Sanità analizzando la situazione regione per regione sottolineando l’impegno dei medici di famiglia sui quali sono ricaduti anche tutti gli adempimenti burocratici derivati dalla chiusura delle Aziende sanitarie a causa del Covid. In Sicilia i medici di base sono 4.100 e non vi sono carenze in organico e i posti scoperti sono solo 6. Ma i nodi sono altri come, spiega il Rapporto Sud, il sovraccarico burocratico ricaduto su queste figure a cui ora toccano adempimenti che prima erano di competenza dei dipendenti dell’Asp. In Campania, svela l’inchiesta, è in atto una sorta di grande esodo. Nel 2019 si sono resi vacanti 250 posti di medico di medicina generale, mai coperti. poi ci sono le carenze del 2020, stimate in circa 300. In Puglia In Puglia i dipartimenti di prevenzione delle Asl sono “saltati”, denuncia Donato Monopoli, segretario regionale della Federazione dei medici di base che rappresenta in Puglia 2.200 colleghi che, di fatto, si stanno occupando del 95% dei pazienti Covid. In Sardegna, prosegue il Rapporto Sud, ci sono pochi medici e, talvolta, costretti a spostarsi da un paese all’altro per dare assistenza ai pazienti. E in tempo di Covid tutto si complica. Nell’isola ci sono circa 1.300 medici di famiglia, ma in piccoli centri per poter lavorare devono spostarsi da una parte all’altra, con il risultato che il lavoro è molto aumentato. In Calabria la situazione si è complicata strada facendo per i 1.300 medici di medicina generale della Regione: nel 2018 era tutto pronto per dare una svolta alla medicina del territorio. Le Usca, unità speciali di continuità assistenziale, sono meno di quelle previste. In Basilicata i medici di medicina generale sono 509 cui si aggiungono 57 pediatri e 345 medici di Continuità assistenziale. A metà novembre sono state fatte 40 assegnazioni per le zone carenti, cui se ne aggiungeranno altre 4 non ancora effettuate per indisponibilità di medici. Questo evidenzia la criticità che si incontra per ogni tipologia di incarico da assegnare a causa della carenza di disponibilità di medici, cui si aggiungono le difficoltà legate alle caratteristiche orografiche della Basilicata.
Riparte la corsa delle start up: la Campania sorpassa il Veneto. Il Rapporto Sud del Sole 24 Ore di venerdì 11 dicembre parla anche del trend in salita del numero delle nuove start-up iscritte nel corso dell’anno in tutta. L’intero Mezzogiorno ha superato i valori realizzati lo scorso anni con uno sprint di Napoli e Bari. I numeri: nei primi undici mesi dell’anno le start-up di nuova costituzione iscritte nell’apposito registro monitorato da Unioncamere hanno superato le 3mila unità. Si tratta di un risultato che già nei primi 11 mesi è superiore a quanto accaduto nel 2019, che ha visto l’iscrizione di 2.823 soggetti. Per molte regioni del Sud, tra cui Sicilia, Sardegna, Puglia e Campania, i numeri del 2020 sono di decisa crescita. In Campania, in particolare, le nuove iniziative sono state oltre 250, portando il totale oltre le mille unità. Superando così il Veneto e portandosi al terzo posto tra le regioni dopo Lombardia e Lazio. Decisivo il contributo di Napoli, che ha aggiunto 154 nuove iniziative nel 2020, dalle 98 registrate lo scorso anno.
Ancora la Basilicata protagonista sulle pagine del Rapporto Sud del Sole 24 Ore di venerdì 11 dicembre con l’Energy Valley, il polo tecnologico e agro-ambientale di Potenza che si regge su tre pilastri: innovazione, tecnologia e sostenibilità. Sono i tre pilastri su cui Eni punta per coniugare crescita economica, inclusione sociale e rispetto dell’ambiente in Val d’Agri, la valle del più grande giacimento europeo di petrolio su terraferma che si trova in Basilicata. Va avanti, infatti, la realizzazione di una macro-area agro-produttiva attrezzata adiacente al Centro olio Val d’Agri per una maggiore integrazione tra contesto industriale, naturale e sociale ed è partito il Centro di monitoraggio ambientale Gea (Geomonitoraggi emissioni ambientali), primo esempio del genere realizzato da un’azienda privata, che ha fatto del Distretto meridionale Eni un modello nell’adozione di tecnologie digitali più innovative. Circa dieci milioni degli 80 previsti sono stati già spesi.
In Calabria la produzione di olio extra vergine cala del 40%. Il Rapporto Sud del Sole 24 Ore presenta i dati dell’ovicultura in Calabria dove si sviluppa sul 24% della superficie agricola della regione, con oltre 84mila aziende, una superficie coltivata di oltre 189mila ettari, 25 milioni di piante e moltissime varietà di olive. Un tesoro di biodiversità di cui quasi il 50% biologico, «per una filiera che coinvolge 692 frantoi, il 15% del totale italiano, che sul mercato vale circa 600 milioni con un forte impiego di manodopera», spiega Coldiretti. Oltre alla qualità del prodotto, è la sua quantità, dunque, che porta la regione nei primi posti delle classifiche: la Calabria, nel 2019, si è posizionata (ma era avvenuto anche in anni precedenti) al secondo posto in Italia (dopo la Puglia) con circa 53mila tonnellate di olio extravergine, rispetto alle 365mila del totale nazionale (dati Agea). Nel 2020 è andata diversamente. «La produzione registra una diminuzione di oltre il 40% causata principalmente dalle anomalie climatiche – spiega Salvatore Oliva presidente dell’Associazione Olivicola Assoproli, promossa da Coldiretti – Per quanto riguarda la qualità, invece, l’olio ottenuto è ottimo, fruttato e fragrante. La pioggia e il vento forte, nella sibaritide e nel crotonese, hanno provocato una cascola di olive che ha inciso negativamente sulla quantità». Quello olivicolo non risulta fra i comparti sostenuti con gli oltre 15 milioni previsti dalla Misura 21 del Psr, (a favore invece dei settori florovivaistico, lattiero-caseario e vitivinicolo). Sul supplemento economico del Sole 24 Ore tutte le azioni messe in campo per salvare il comparto da Coldiretti Calabria.