È stata accolta con decreto del Tribunale di Venezia, la proposta del Questore della Provincia di Verona di applicazione nei confronti di un cinquantunenne veronese della sorveglianza speciale: non solo la misura di prevenzione più grave, ma accompagnata, per la prima volta a Verona – poco più di due mesi dall’entrata in vigore della recente normativa – dall’applicazione del braccialetto elettronico.
A suo carico pendevano già numerose condanne per furto aggravato, rapina, lesioni personali, minaccia aggravata, resistenza aggravata ed evasione: per due volte, infatti, il Tribunale di Sorveglianza gli aveva concesso la misura alternativa dell’affidamento in prova al Sevizio Sociale. Entrambe le volte, tuttavia, il beneficio gli era stato poco dopo revocato: prima per essersi reso responsabile di evasione quando era ristretto agli arresti domiciliari per aver aggredito verbalmente e fisicamente la sua ex compagna; successivamente per aver dato, ancora una volta con la sua condotta, riprova della sua indole violenta e di un’evidente inclinazione a non rispettare le regole e le prescrizioni imposte.
A cavallo di questi episodi un’escalation di comportamenti violenti e minacce perpetrate a partire dal 2008 nei confronti delle sue ex compagne. Oltre a queste, a finire vittima dell’uomo, nel gennaio 2009, una donna a cui aveva tentato di estorcere denaro millantando il suo coinvolgimento in traffici mafiosi: nell’occasione era arrivato anche a presentarsi insieme ad altri soggetti davanti a casa sua cercando di abbattere la porta e minacciando di sparare a lei e a sua figlia; solo l’arrivo delle Forze dell’Ordine lo aveva convinto a desistere.
Ma l’uomo non era nuovo a questo genere di condotte: già l’anno precedente, si era recato presso l’abitazione dell’ex compagna con la pretesa di incontrare il figlio: al suo rifiuto, l’aveva minacciata di morte, incutendole timore facendo leva sul possesso di un’arma. A fermarlo, anche quella volta, erano state le Forze dell’Ordine, che avevano rinvenuto e sequestrato all’interno della sua auto anche un coltello ed una pistola giocattolo.
Le indagini effettuate a partire da quell’episodio hanno consentito poi di accertare che, dal 2018 ad oggi – anche a seguito delle condanne già inflittegli e dell’ammonimento del Questore scattato nel 2011 – l’uomo abbia ripetutamente dimostrato di perseverare nelle sue condotte persecutorie: una vera e propria escalation di violenze culminata in un momento di follia in cui ha appiccato fuoco all’auto di un vicino di casa della ex compagna.
Anche quella volta, dopo aver scontato due anni di detenzione, non è stata l’ultima.
Lo scorso maggio, infatti, l’uomo ha individuato la sua vittima in un’altra donna – con la quale aveva avuto una breve relazione – che per fortuna, sin da subito, non è rimasta in silenzio.
Si è presentata in Questura e ha raccontato agli agenti la storia che l’aveva spinta a denunciare: minacce di morte, chiamate ad intermittenza, messaggi intimidatori e continui appostamenti sotto casa e sul luogo di lavoro. L’ultima volta, addirittura, si era avvicinato alla figlia della donna all’uscita da scuola: l’aveva fermata per chiederle di intercedere con la madre affinché tornasse con lui.
Uno stato di ansia sempre crescente che ha raccontato, passo per passo, ai poliziotti, che hanno ricostruito le vicende dell’uomo in un’indagine accurata culminata nella proposta, avanzata dal Questore, di applicazione della sorveglianza speciale di P.S., accompagnata dall’utilizzo del braccialetto elettronico come previsto dal nuovo art. 275-bis c.p.p.
La richiesta è stata accolta dal Tribunale di Venezia che ha applicato la misura per due anni. L’uomo non potrà accedere ad esercizi pubblici, detenere o portare armi anche se non idonee ad arrecare offesa alla persona; non potrà uscire di casa prima delle 7.00, né rincasare più tardi delle 22.00; naturalmente, infine, non potrà avvicinarsi ai luoghi frequentati dalle vittime né comunicare con le stesse e dovrà allontanarsi immediatamente in caso di incontro fortuito con le stesse.
Un risultato che conferma l’esigenza di mantenere altissima l’attenzione da parte delle donne e degli uomini della Polizia di Stato per questi odiosi reati.
Ciò, innanzitutto, sostenendo le donne che hanno trovato il coraggio di denunciare, offrendo loro massima dedizione ed ascolto per evitare che subiscano anche il dolore dell’indifferenza, della superficialità, del silenzio o semplicemente dell’attesa. Al contempo, è di fondamentale importanza “fare rete” per convincere a parlare quelle vittime che ancora non riescono a trovare il coraggio.
Come è accaduto ieri, quando una giovane di origini venete (ma domiciliata in Emilia Romagna) si è presentata in Questura per denunciare le condotte persecutorie subite dal suo compagno, anche lui veneto. Quando i poliziotti l’hanno accolta, ha raccontato di essersi presentata a Verona, pur non essendo veronese, perché altre donne – che l’avevano convinta a rivolgersi alla Polizia – le avevano parlato di “Una stanza tutta per sé”, uno spazio ideato per tutte coloro che trovano il coraggio di denunciare e cercano nella nostra divisa un porto sicuro in cui rifugiarsi.