Per prima ci provò la Grecia che, nel 2015, indisse un referendum consultivo sul programma di drastici interventi economici proposti dalla cosiddetta trojka (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale).
In sostanza la Grecia doveva decidere se uscire dall’euro, e quindi dalla Ue, o avviare massicce riforme. Il popolo votò NO al programma, ma il governo greco fece il contrario e accettò le proposte della trojka, in cambio ebbe aiuti finanziari da restituire nel corso degli anni.
L’anomalia è stata che il capo del governo era, ed è, Alexis Tsipras, che fu il promotore del referendum per la Grexit, per poi non attuarla.
Il Regno Unito ha votato, circa 3 anni fa, la cosiddetta Brexit, cioè l’uscita dalla Ue. Il referendum fu promosso dal capo del governo conservatore David Cameron. Vinse il SI all’uscita e furono avviate trattative dalla nuova premier conservatrice Theresa May con la Ue. Dopo tre anni e una infinità di incontri bilaterali, si è arrivati ad un testo concordato che però è stato più volte respinto dalla Camera dei Comuni. Risultato: il tutto è stato rinviato ad ottobre prossimo.
Il motivo è semplice: le economie comunitarie sono integrate e una uscita unilaterale di qualsiasi Stato danneggia tutti.
L’Europa rappresenta il 7% della popolazione mondiale, produce il 25% della ricchezza mondiale e spende il 25% per il benessere (sanità, pensioni, assistenza).
Non ci sono aree mondiali che hanno queste caratteristiche, neanche gli Usa, tanto meno Russia e Cina. C’è ancora da fare, ovviamente, per una ulteriore integrazione, ma questa è la direzione nella quale muoversi. Nazionalismi, o sovranismi, che dir si voglia, hanno prodotto le più devastanti guerre dello scorso secolo. A maggio ci sono le elezioni europee. La memoria dovrebbe aiutare.
Primo Mastrantoni, segretario Aduc