Diabete di tipo 1, esperti SIEDP mettono in guardia contro l’uso di “pancreas artificiale fai da te” anche nei bimbi piccoli. Decine di casi in Italia e almeno 10.000 nel mondo tra adulti e bambini. Allo studio per la prima volta un documento di consenso per evitare ritardi nella ricerca di nuovi sistemi automatici per i più piccoli.
In Italia e in Europa alla data attuale esiste solo un prototipo di device automatico autorizzato per i più piccoli che è insufficiente a soddisfare i bisogni dei pazienti con diabete di tipo 1 nella fascia d’età 0-6 anni: servono modelli più piccoli, senza catetere esterno e più facili da utilizzare.
Sono circa 2mila in Italia i bimbi con diabete di tipo 1 con meno di 6 anni, 400 le nuove diagnosi ogni anno. Per loro esiste solo un sistema automatizzato di somministrazione di insulina (Automated Insulin Devices, AID), appena approvato dagli enti regolatori nel nostro Paese e in Europa. Per questo da alcuni anni decine di persone, poi centinaia e ora migliaia, stanno sperimentando anche nei bimbi “pancreas artificiali fai da te”, i cosiddetti Do-It-Yourself Artificial Pancreas System (DIYAPS), basati su algoritmi personalizzati e ‘fatti in casa’ dalla comunità di pazienti o dagli stessi genitori, anche sfruttando talvolta vecchi modelli fuori commercio di altri componenti (microinfusore e sensore). In questo modo i genitori invece di gestire in modo manuale la glicemia possono delegare questo compito a un algoritmo, riducendo stress e disagi dei bimbi e delle famiglie. Secondo una stima, contenuta in uno studio pubblicato nel 2021 su The Lancet Diabetes & Endocrinology, sarebbero almeno 10mila le persone che si affidano al “fai da te”, di cui il 20% al di sotto dei 18 anni[1].
Per questo esperti e associazioni di pazienti internazionali hanno discusso oggi per la prima volta, in occasione della 16esima edizione del congresso Advanced Technologies & Treatments for Diabetes (ADDT), un documento di consenso per promuovere la sperimentazione di più sistemi automatici di somministrazione dell’insulina, facendo uscire dall’ombra quelli sviluppati dagli stessi genitori e pazienti. Tra i promotori dell’iniziativa anche la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) che punta a sollecitare le aziende e gli enti di ricerca per aumentare gli studi ufficiali sul pancreas artificiale nella popolazione pediatrica fino ai 6 anni, ma senza abbandonare le decine di famiglie italiane che hanno adottato sistemi “fai da te” in attesa dello sviluppo della ricerca e delle autorizzazioni normative.
“Il pancreas artificiale rappresenta l’innovazione scientifica più avanzata per il trattamento del diabete di tipo 1 che, pur essendo la forma meno diffusa, riguarda 20 milioni di persone nel mondo e 300mila in Italia, di cui circa 2mila bimbi al di sotto dei 6 anni”, spiega Valentino Cherubini, presidente eletto SIEDP a nome della comunità diabetologica pediatrica, tra i più affermati ricercatori italiani a livello internazionale e direttore dell’unità di diabetologia pediatrica presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria delle Marche di Ancona.
Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune in cui il sistema immunitario impazzisce e ‘divora’ parte del pancreas, le cellule beta che producono l’insulina. Senza più possibilità di produrre l’ormone che regola lo zucchero nel sangue, i pazienti devono continuamente monitorare la propria glicemia manualmente e altrettanto manualmente auto iniettarsi insulina ogni volta che la loro glicemia sale, andando incontro a bruschi balzi in alto o in basso, che a lungo andare fanno malissimo. “A rischio sono soprattutto i bimbi più piccoli – commenta Cherubini – per i quali è difficile gestire la malattia perché i genitori devono fare i conti con la vivacità dei bimbi, le loro attività e i pasti sempre diversi che causano continue variazioni glicemiche. Il pancreas artificiale – continua l’esperto – rappresenta soprattutto per loro una potenziale soluzione a tutto questo perché è dotato di sensori che monitorano in automatico e molto di frequente la glicemia e una pompa che inietta insulina in base ai bisogni, collegata negli ultimi anni a un software che ‘ripensa’ i livelli di insulina in modo automatico, considerando non solo la glicemia ma anche l’attività che sta svolgendo il piccolo paziente. Tali sistemi, oltre a migliorare gli esiti glicemici e la salute generale a lungo termine nei bambini, riducono il disagio e migliorano la qualità del sonno”.
Questi device che infondono insulina al bisogno senza l’intervento del paziente, sono disponibili da alcuni anni anche in Italia e a oggi sono circa 18mila su 300mila, i pazienti trattati con pancreas artificiale in regime di rimborsabilità. Ma tra questi pochissimi bambini al di sotto dei 6 anni li utilizzano, in quanto esiste solo un modello approvato disponibile in commercio insufficiente a soddisfare i loro bisogni, perché servono modelli più piccoli, senza catetere esterno e più facili da utilizzare.
“Ad oggi, anche se pochi, i lavori condotti per osservare l’efficacia dei sistemi sugli under 6 dimostrano buoni risultati – riferisce Cherubini –. Uno dei più recenti[2], pubblicato a gennaio scorso sul New England Journal of medicine e finanziato anche dalla Commissione europea, ha registrato un miglioramento significativo del controllo glicemico in bambini fra 1 e 5 anni con diabete di tipo 1, senza aumentare il tempo trascorso in ipoglicemia[3]. In particolare, grazie al sistema automatico, i piccoli pazienti hanno superato il target glicemico di 8,7 punti percentuali rispetto al gruppo di controllo”[4].
“Tuttavia, tradizionalmente – continua l’esperto -, le approvazioni per nuovi farmaci e device per i bambini piccoli sono in forte ritardo a causa delle difficoltà nelle approvazioni per la sperimentazione che avviene sempre dopo che si sono ottenuti risultati soddisfacenti nell’adolescente e nell’adulto. D’altro canto però, non allargare la ricerca anche su questi sistemi, contempla possibili rischi derivati dall’utilizzo di device non ancora approvati. Bisogna invece accelerare perché tutti i bambini più piccoli con diabete di tipo 1 possano accedere a questi sistemi in sicurezza. Nel corso degli anni si è infatti diffuso e allargato un fenomeno nato dal movimento #WeAreNotWaiting, approdato anche sui social, che per la disponibilità limitata di versioni commerciali di sistemi automatici, ha indotto migliaia di persone nel mondo e decine in Italia a ricorrere a sistemi di ‘pancreas artificiale fai da te”. Precisa l’esperto che “Si tratta di sistemi fatti in casa e non privi di rischi, seppur limitati, come ad esempio l’eccesso e il difetto di dosaggio dell’insulina. Questi device vengono spesso costruiti seguendo le istruzioni open source di progetti scaricabili da Internet e programmati e personalizzati per farli funzionare su sé stessi o i propri bimbi. Ovviamente – sottolinea Cherubini – è più sicuro aspettare i test clinici dei dispositivi in attesa di autorizzazione, piuttosto che provvedere da soli nell’attesa. Ma l’opportunità è che questo fenomeno che non può più essere ignorato, acceleri la ricerca per mettere sul mercato ufficiale dispositivi a basso costo basati su nuove tecnologie, che contribuiscono a migliorare la vita specialmente dei più piccoli e dei loro genitori”.
“Serve dunque un maggiore impegno nella ricerca affinché gli organi regolatori possano approvare più device. Un sistema del genere – conclude Mariacarolina Salerno, presidente SIEDP – può migliorare la qualità della vita del paziente e della sua famiglia in tutti i contesti sociali. Pensiamo, ad esempio, all’inserimento a scuola, compiuto in serenità, dopo l’esordio della malattia, oppure alle attività sportive e ricreative, come una merenda con gli altri coetanei, da vivere senza particolari preoccupazioni. Tutto ciò significa anche educare all’autonomia i bambini e i ragazzi che, grazie al sistema, non sentono costantemente il controllo dei genitori addosso. Il cambiamento portato da queste tecnologie è stato accompagnato, inoltre, negli anni anche da un lavoro di formazione da parte della SIEDP nelle scuole per la gestione del diabete di tipo 1 da parte di insegnanti, alunni e famiglie”.