Nelle prime ore del mattino, nelle province di Brescia, Milano, Reggio Calabria, Cremona e Ascoli Piceno, la Polizia di Stato e la Guardia di Finanza, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia, hanno dato esecuzione, nell’ambito dell’operazione denominata “Atto finale”, a un provvedimento cautelare personale nei confronti di quattordici soggetti, dei quali 12 in carcere e 2 ai domiciliari, contigui e inseriti in contesti di criminalità organizzata di stampo mafioso (‘ndrangheta) e gravemente indiziati, a vario titolo, di usura ed estorsione commessi con metodo mafioso.
In particolare, le indagini condotte dalla 1^ Divisione del Servizio Centrale Operativo della DAC, dalla Squadra Mobile della Questura di Brescia, dai Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Brescia, proiettate anche all’estero, hanno permesso di infliggere un duro colpo ad un’importante cosca, che rappresenta un casato di ‘ndrangheta tra i più antichi e potenti della Piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, infiltrata nel tessuto economico bresciano.
Inoltre, il Comando Provinciale dei Carabinieri di Brescia ha eseguito un ulteriore provvedimento cautelare in carcere a carico di 2 soggetti, uno dei quali collegato anch’egli ad ambienti malavitosi di natura ‘ndranghetista, e gravemente indiziati della commissione di altri fatti di estorsione commessi con le tipiche modalità mafiose.
Nello stesso contesto operativo, sono state eseguite 20 perquisizioni ed è stata sottoposta a sequestro preventivo una somma pari a € 77.540,00, quale profitto del delitto di usura.
L’attività degli investigatori – diretta dal Sost. Procuratore della Repubblica Roberta Panico della Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia, unitamente ai Sost. Proc. Erica Battaglia e Sost. Proc. Carlotta Bernardini – ha permesso di documentare, nonostante il periodo di lockdown, condotte intimidatorie ed estorsive, accordi e pagamenti usurari, accompagnati da pressioni e pretese economiche in danno di imprenditori, accordi per la spartizione degli illeciti guadagni, richieste di protezione criminale e gravi situazioni di esposizione a rischio per l’incolumità individuale.
In alcuni casi, è stata provata una vera e propria vendita di denaro a condizioni usurarie ad un imprenditore del Nord in difficoltà economiche, cercando di assicurarsi la certezza del rientro dell’investimento con i convincenti sistemi propri del metodo mafioso e dunque consentendo il conseguimento di fonti parassitarie di reddito.
Nel contesto sopra delineato, si inquadra anche la figura di alcuni imprenditori, in difficoltà economiche, sicuramente amplificate a causa dell’emergenza Covid-19 e del conseguente lockdown, i quali hanno avuto notevoli difficoltà nel rispettare gli impegni e le scadenze, con ciò causando il “nervosismo” di alcuni indagati, i quali con un intento intimidatorio, hanno addirittura inviato via WhatsApp la riproduzione fotografica delle abitazioni degli imprenditori.
Nel corso delle indagini, inoltre, è emerso che ulteriori soggetti, legati all’associazione di matrice ‘ndranghetista, operavano nella provincia di Brescia commettendo frodi fiscali e reati di riciclaggio ed usura.
In particolare, l’attività investigativa, peraltro ancora in corso, ha ulteriormente consentito di confermare il radicamento e l’operatività della ‘ndrangheta nel tessuto economico del distretto bresciano, la quale, avvalendosi, appunto, della creazione e dell’utilizzo di decine di società “cartiere” italiane ed estere – messe a disposizione da soggetti gravitanti attorno al predetto sodalizio – ha assicurato un vorticoso giro di fatture false per decine di milioni di euro a vantaggio di imprese locali, riuscendo, in tal modo, ad attuare una sofisticata e pericolosa forma di “inquinamento” dell’economia legale attraverso l’erogazione di servizi fiscali illeciti.