Il Sindaco di Riace, Mimmo Lucano, noto a tutti per essere stato messo agli arresti domiciliari per le sue presunte irregolarità nelle politiche di integrazione degli immigrati, è stato liberato. Ma con dei costi: il ministero dell’Interno ha prima disposto la chiusura del progetto e il trasferimento dei migranti coinvolti, poi il tribunale del Riesame, liberandolo gli ha imposto il divieto di dimora sul territorio del suo Comune, dove invece può tornare la sua compagna, Lemiem Tesfhun, a cui in precedenza era stato vietato il domicilio.
Una serie di provvedimenti intrecciati le cui logiche dovrebbero essere per impedire che Lucano reiteri quello che si presume sia un reato.
Insomma: il confino.
Un provvedimento tecnicamente discutibile, visto che siamo nel 2018 e, in linea generale, visto anche che a Luciano dovrebbe essere stata revocata la sospensione dalla carica istituzionale, l’essere o meno fisicamente su un territorio non implica uno stop ad un’attività presunta illegale pro o contro quel territorio a cui gli impedito l’accesso.
Quando si sente parlare di confino, la mente torna come minimo al secolo scorso, ma anche molto oltre. I confinati celebri e storici, come Napoleone nell’isola atlantica di Sant’Elena (dove ancora oggi è difficile andare), o gli italiani che volontariamente se ne andavano a Lugano, a Parigi, a Londra o a New York per, da lì, continuare a svolgere la loro attività per la liberazione del loro Paese… sono storia, memoria storica, e basta? E invece no. La storia è viva! Non si chiama confino, ma divieto di dimora. Il concetto di base delle pene nel nostro ordinamento, è quello della rieducazione… chi legge è pregato di non ridere, perché il pensiero alla situazione delle nostre carceri è immediato, e parlare di rieducazione in quei contesti, vengono i brividi.
Ma torniamo a noi.
Nella fattispecie non si tratta di pena da scontare, ma provvedimento per impedire la reiterazione del presunto reato, e lo abbiamo già detto: a meno che non impediscano al Sindaco Lucano di parlare, usare il telefono, collegarsi ad Internet, ma non è così, siamo solo in ambito di accademia dell’assurdo, fino ovviamente al ridicolo. Bene, questa è l’Italia. Prendiamone atto. Rattristiamoci. Diamo battaglia e, soprattutto, ricordiamo. Si’, ricordiamo. Perchè il Paese in cui oggi viviamo è frutto anche di coraggiose e temerarie persone che hanno sofferto al confino, ma dove, proprio lì, hanno elaborato uno dei più rivoluzionari e illuminati Manifesti della politica del nostro Millennio: il Manifesto di Ventotene (1).
Il Sindaco Lucano come Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi? Perché no. Con le dovute differenze di storia, di epoca, di cultura, le due politiche – quella migratoria di Lucano e quella federalista delle persone di Ventotene – puntano entrambe alla qualificazione e alla supremazia dell’individuo civico e protagonista della politica e della libertà.
Con quasi un secolo di tempo tra questi due momenti, un fatto li accomuna nella storia del presente e in quella che leggeranno i nostri nipoti: il coraggio, la coerenza e la disponibilità per il bene comune. E i nostri giudici comminano il confino…. Suvvia….
Facciamone tesoro.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc