In questi giorni si torna a parlare con una certa insistenza del “famigerato” spread fra il rendimento dei titoli di stato italiani e quello dei titoli di stato tedeschi e qualcuno torna ad adombrare lo “spettro” del default dell’Italia, ovvero la possibilità che chi investe in titoli italiani non veda restituito integralmente tutto il capitale e/o non nei termini previsti dal titolo.
La domanda sulla quale vorremmo soffermarci con un approccio un po’ diverso da quello che si legge comunemente sui media è: il default dell’Italia è una ipotesi di cui preoccuparsi o almeno occuparci concretamente nei nostri portafogli finanziari?
Alcune premesse importanti
Il problema di cui ci stiamo occupando riguarda l’interconnessione di almeno tre campi: la politica, l’economia (in particolare la macroeconomia) e la finanza.
L’aspetto politico è notoriamente un campo opinabile per definizione. Solo pochi spostati (fortunatamente) ritengono che le loro opinioni politiche possano avvicinarsi al concetto di “verità”.
Quando entriamo nel campo dell’economia, invece, la percezione che stiamo comunque parlando di opinioni e non di scienza (nel senso di possibilità di applicare il famoso “metodo scientifico”) è molto più sfumata. Fra gli economisti, molto spesso, ascoltiamo una tale prosopopea da far tornare in mente il famoso aforisma attribuito ad Esopo in base al quale “più piccola è la mente più grande è la presunzione.”
E’ fondamentale ribadire che né l’economia, né – tantomeno – la finanza sono scienze nel senso stretto del termine, cioè paragonabili alla fisica, la chimica, la biologia ecc. Il massiccio utilizzo della matematica e della statistica da parte di queste discipline non può (o almeno non dovrebbe) nascondere il fatto che si tratta comunque di “scienze umane” nel senso che si tratta, in ultima analisi, di niente di più che congetture ed elucubrazioni sul comportamento degli esseri umani in un campo specifico della loro vita, ovvero lo scambio di beni e/o servizi.
Non esiste una teoria economica che possa essere considera “vera” in sé, così come non esiste una linea politica “vera” in assoluto. In ultimissima analisi, si tratta di opinioni la cui validità dipende da una serie di fattori che influenzano il comportamento degli esseri umani, singolarmente e come massa.
Da alcune decine di anni una teoria economica, che possiamo molto brutalmente sintetizzare con l’espressione “neoliberismo” (ma ci sarebbe moltissimo da precisare) è diventata talmente predominante da essere considerata una sorta di dogma indiscutibile.
Il pensiero sottostante a questa teoria economica ha informato talmente tanto il nostro vivere quotidiano (dai media alle regole scritte e non scritte che governano la nostra società) che spontaneamente le persone sono portate a credere che il pensiero neoliberista (anche quando non si rendono neppure conto che qualcosa è frutto di questo pensiero e quindi non lo chiamano in tal modo) sia l’unico possibile.
Il problema del debito pubblico è un tipico esempio di questo fenomeno. Cerchiamo di motivare il perché.
Il debito pubblico italiano è un problema?
Il debito pubblico italiano è un problema solo ed esclusivamente all’interno di un contesto nel quale si ritiene che uno Stato debba sottostare ai mercati finanziari per il suo finanziamento.
Questo modo di pensare, il quale costituisce la premessa logica del 99% dei commenti che si leggono sui media generalisti, così come quelli specifici nelle materie economico-finanziarie, non è per niente una necessità né fisica né logica.
E’ una conseguenza di scelte politiche che possono essere messe in discussione e cambiate, con i tempi e modi necessari.
Il divorzio fra il Tesoro e la Banca d’Italia è degli anni ’80. L’autonomia della Banca centrale ha le sue solide ragioni, ma fra il concetto di autonomia della politica monetaria e quello di completa esposizione dello Stato ai mercati finanziari, per il suo finanziamento, ci sono moltissime sfumature di grigio che avrebbe senso considerare.
Anche non volendo mettere in discussione il paradigma neoliberista nel quale siamo immersi, le regole che governano l’emissione dei titoli di Stato potrebbero essere riviste – senza rivedere i trattati europei – affinché lo Stato non sia necessariamente in balia dei mercati finanziari per la copertura del suo debito.
Una delle tante follie che fanno parte di questo assurdo paradigma che pone gli Stati in mano ai capricci dei mercati finanziari è l’affidamento al giudizio di agenzie di rating. Anche su questo ci sarebbe tantissimo da scrivere. La zona Euro non si è dotata di una propria agenzia di rating pubblica il cui scopo non sia quello di generare profitto per gli azionisti, ma rendere gli operatori dei mercati finanziari informati in modo più trasparente e realmente indipendente. Può sembrare una piccola cosa, ma avrebbe fatto e farebbe tutta la differenza del mondo. Si tratta – chiaramente – di una questione tecnica ma al contempo profondamente politica.
Tornando al debito pubblico italiano, dal punto di vista della sua sostenibilità, la ricchezza degli italiani, anche limitandosi a quella esclusivamente finanziaria, sarebbe tranquillamente in grado di coprire integralmente il debito pubblico. Gli italiani hanno una ricchezza finanziaria pari a circa il doppio dell’importo complessivo del debito pubblico. Se poi pensiamo che una fetta significativa del debito pubblico, già adesso, è in mano alla banca centrale si comprende già da subito il problema del finanziamento del debito pubblico è esclusivamente una questione di regole, cioè di politica. Gli italiani, se posti nelle giuste condizioni, sarebbero più che favorevoli a sottoscrivere i titoli di stato ed a coprire anche integralmente il fabbisogno.
Questo significa che sia possibile fare debito pubblico all’infinito? Ovviamente no!
Significa soltanto che considerando le attuali variabili macroeconomiche (non solo il rapporto Debito/PIL, ma anche la bilancia commerciale, il debito complessivo/PIL – cioè includendo quello privato-, la ricchezza finanziaria della nazione, l’inflazione ecc.) ci rendiamo facilmente conto che l’Italia non avrebbe, teoricamente, problemi di sostenibilità del suo debito pubblico.
Perché mai, allora, se ne parla tanto?
Purtroppo i concetti di base della macroeconomia sono semi-sconosciuti ai più e sono anche controintuitivi. E’ facile estendere ciò che vale per l’economia di una singola famiglia o di un’azienda al bilancio dello Stato. Se indebitarsi per una famiglia è male, lo sarà anche per lo Stato. Se risparmiare per una famiglia è virtuoso, lo sarà anche per lo Stato nel suo complesso. Purtroppo non è affatto così! Se lo Stato spende meno soldi di quelli che toglie ai cittadini (cioè incassa con le tasse) significa che sta impoverendo i suoi cittadini. Lo Stato deve razionalizzare la spesa pubblica, ovvero renderla il più possibile efficiente, ma non spendere di meno di quello che incassa per ripagare il debito pubblico. Si può sostenere, con una certa sensatezza, che lo Stato dovrebbe spendere di meno al fine di togliere meno soldi ai cittadini (cioè abbassare le tasse), questa è una cosa con un senso, ma non impatterebbe sul problema del debito pubblico (a meno di sostenere, in modo tutto da dimostrare, che la spesa privata fa aumentare di più il PIL della spesa pubblica).
Come si può facilmente vedere, è necessario un po’ di studio per comprendere le dinamiche che entrano in gioco quando passiamo dalla microeconomia alla macroeconomia…
La domanda che si può porre una persona che non ha mai approfondito questi temi è: ma se fosse vero che il debito pubblico italiano è così sostenibile come scrivi, perché sui giornali si dice continuamente il contrario, sono tutti ignoranti come potrei essere io in materia?
Non vi può essere una sola risposta ad una domanda così complessa.
Ci sono molte ragioni per le quali spesso sui giornali si legge (o, più precisamente, si percepisce, quasi come se fosse una cosa data per scontata) che il debito pubblico italiano è insostenibile.
In primo luogo è oggettivamente vero che il debito pubblico italiano è molto grande, sia nominalmente che in percentuale del PIL. Da molto grande ad insostenibile, però, il salto logico è evidente, ma per la maggioranza che non studia questi temi (compreso il 95% dei giornalisti, anche del settore) basta dire che il rapporto debito/PIL dell’Italia è fra i più alti d’Europa per trarre la conseguenza quasi automatica che sia una cosa insostenibile.
Un altro fatto che costituisce un oggettivo problema è la dinamica del PIL dell’Italia che è troppo debole ed alla lunga questo è un grande problema, ma non solo e non tanto per la sostenibilità del debito pubblico, quanto per la sostenibilità degli standard di vita attuali degli Italiani.
L’incrocio fra pensiero economico e politica è probabilmente il singolo fattore più impattante sull’ambiguità che caratterizza l’informazione sui media.
Le posizioni degli studiosi sull’economia è inestricabilmente connessa a specifici interessi, sia economico-finanziari di alcune parti, sia più specifiche relative ad interessi ancora più bassi di carriera individuale.
Infine a complicare ulteriormente le cose c’è l’aspetto più importante di tutti.
Il fatto che – in astratto – il debito pubblico italiano sia sostenibile non è necessariamente in contraddizione con la tesi che l’Italia possa effettivamente andare in default.
La ragione è l’irrazionalità dei mercati finanziari e della politica.
Con le norme in essere, un declassamento delle agenzie di rating sotto il livello di “investment grade” implicherebbe una serie di reazioni a catena che metterebbero in grave difficoltà il Governo italiano per rifinanziare il suo debito e sostituire i titoli di Stato in scadenza con nuovi titoli in emissione, come devono fare tutti gli Stati, anche i più apparentemente “solidi” come la Germania o gli Stati Uniti.
Per fare un paragone, anche la più solida Banca, nel caso in cui si diffondesse la notizia che è in via di fallimento, fallirebbe effettivamente.
Nel caso dello Stato ciò non sarebbe necessario perché avrebbe la possibilità di bloccare la follia dei mercati finanziari con specifiche regole, ma qui entra in gioco essenzialmente la politica.
Cambiare un sistema così radicato come quello attuale è un compito difficilissimo per qualsiasi governo ed in Italia – per usare un eufemismo – negli ultimi decenni non brilliamo per lo spessore della nostra classe politica.
E quindi?
I pochissimi lettori che avranno avuto la pazienza di leggere fino a qui, potrebbero essere confusi. E’ poco “attraente” scriverlo, ma è assolutamente giusto essere confusi, perché le cose, oggettivamente non sono per niente chiare.
In estrema sintesi, la nostra opinione è che il problema del debito pubblico sia di ordine squisitamente politico, non di equilibrio macroeconomico.
Questo non significa che possiamo dormire sonni tranquilli avendo titoli di Stato italiani in portafoglio. E’ possibile (forse “probabile”, per come si stanno mettendo le cose sul piano politico) che torneranno tempi nei quali i prezzi dei titoli di Stato italiano scenderanno in modo preoccupante e la tentazione di vendere in perdita potrebbe essere molto forte, magari sotto la pressione di continue informazioni fuorvianti dei media.
La situazione politica attuale è molto più favorevole ad una rottura con l’Unione Europea rispetto alla crisi dell’Euro del 2011, sebbene la sostenibilità tecnica del nostro debito pubblico sia ancora migliore rispetto a quello che era all’epoca, come scrivevamo anche allora in assoluta controtendenza rispetto alla quasi totalità della stampa (1).
Noi riteniamo che l’ipotesi di un default dell’Italia oggi sia molto remota, ma – contrariamente al 2011 – le condizioni politiche la rendono non più trascurabile.
Quindi, in riferimento ai propri portafogli finanziari dovremmo occuparsi di questo tema in funzione del proprio profilo di rischio, delle proprie personali opinioni circa gli aspetti politici, dei propri obiettivi finanziari e delle proprie strategie d’investimento.
Come abbiamo cercato di illustrare, la questione è molto complessa e – come sempre – l’incertezza “regna sovrana” sui temi finanziari, quando poi – come in questo caso – l’aspetto più rilevante è quello politico, allora si può sostenere veramente tutto ed il contrario di tutto.
Aduc