Per renderci conto di quanto sia enorme il gap tra i compensi annui percepiti dai nostri docenti e quelli europei, basta citare qualche esempio: alla primaria i nostri maestri prendono ad inizio carriera appena 22.903 euro, a fronte dei 32.648 dei maestri olandesi…
Uno dei luoghi comuni che ogni estate torna di moda è quello delle ore di lavoro ridotto dei nostri insegnanti: ora, a parte il fatto che l’orario di servizio “frontale” con gli alunni è solo una fetta della mole enorme di impegni che ogni docente è tenuto ad affrontare quotidianamente, anche tra le mura domestiche, è bene sapere che pure se ci si ferma alle ore di lezione settimanali, queste “in Italia sono superiori alla media europea sia nella scuola primaria (22 contro 19,6) che nella secondaria superiore (18 contro 16,3) e uguali nella secondaria inferiore (18 contro 18,1)”.
A ribadirlo è oggi Orizzonte Scuola, attraverso un approfondimento sul tema che, partendo dai dati ufficiali Eurydice, si sofferma sulla sempre più opportuna richiesta di equiparazione degli stipendi degli insegnanti italiani a quelli dei colleghi europei: sulla base di dati reali, non chiacchiere sotto l’ombrellone, appare evidente, scrive la rivista specializzata, “che alcuni dei luoghi comuni più spesso riportati da coloro che intendono giustificare una razionalizzazione continua della spesa sul capitolo Scuola e Istruzione sono facilmente confutabili”: infatti, “l’orario di lavoro dei docenti italiani non è, come si racconta, nettamente inferiore a quello dei colleghi europei”.
“Altro aspetto, spesso fonte di paragone inappropriato con i colleghi dell’Unione – continua la rivista – è quello che concerne il monte ore degli alunni per anno scolastico, che in Italia è nettamente superiore a quello degli altri Paesi Europei grazie ad alcune specificità del nostro sistema scolastico, quali, ad esempio, il tempo pieno alla scuola primaria e i rientri pomeridiani come opzione oraria nella scuola secondaria di I grado. Queste specificità, dalle quali non si può prescindere per una equiparazione seria con gli altri Paesi, incidono anche sul rapporto tra alunni e insegnanti, necessariamente più alto in Italia, visto che i nostri studenti trascorrono più tempo a scuola dei compagni europei”.
A rendere ancora più beffarda la situazione è il fatto che se si realizza una “comparazione degli stipendi dei docenti italiani con quelli degli insegnanti degli altri Paesi Europei”, dove mediamente si svolge una percentuale minore non indifferente di ore annue in aula, “si evidenzia la differenza tra la retribuzione di base e quella a fine carriera, suddivisa per ordine di scuola. Il dato del nostro Paese ci mostra come le retribuzioni iniziali dei nostri docenti assicurino un tenore di vita al di sotto di quello medio”.
Per renderci conto di quanto sia enorme il gap tra i compensi annui percepiti dai nostri docenti e quelli europei, basta citare qualche esempio: alla primaria i nostri maestri prendono ad inizio carriera appena 22.903 euro, a fronte dei 32.648 dei maestri olandesi oppure dei 38.214 euro dei colleghi tedeschi; a fine carriera, poi, la differenza rimane più che sensibile, visto che ai nostri docenti delle ex elementari vanno soltanto 33.740 euro (meno di quello che prendono in Germania appena assunti in ruolo), mentre in Olanda portano a casa oltre 48mila euro e i tedeschi arrivano addirittura a 51.371 euro.
Se si guarda ai docenti delle scuole medie e superiori, il divario è ancora più grande. Basta dire che mentre gli insegnanti della secondaria di secondo grado con 35 anni e oltre di anzianità di servizio debbono accontentarsi di 38.745 euro lordi, quelli che operano in Olanda sfiorano i 61mila e i tedeschi i 64mila. Pure la media generale, comprendente tutti i docenti dei vari cicli scolastici, risultano impietose: in tutti e tre i cicli scolastici, infatti, ai nostri docenti mancano circa 10mila euro per stare in linea con gli altri Paesi del vecchio Continente.
Anief ricorda che il risultato raggiunto dai sindacati Confederali, firmatari dell’accordo sui mini-aumenti e sugli arretrati ancora più ridicoli, assegnati dopo un blocco quasi decennale, non ha scalfito minimamente un disavanzo che è sempre più insopportabile, oltre che ingiusto: “Per questi motivi, il nostro sindacato – dichiara Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – si siederà al tavolo delle trattative, appena sarà ratificata la rappresentanza sindacale raggiunta con il rinnovo delle Rsu dello scorso marzo, con uno preciso obiettivo: salvaguardare gli aumenti già corrisposti, sbloccare l’indennità di vacanza contrattuale, in modo da agganciare gli stipendi almeno al costo della vita, sempre tenendo conto dell’indice previsionale legato all’Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato su base europea pari all’1,4%”.
Su questo aspetto, è doveroso ricordare che addirittura l’Aran ha calcolato, su dati emessi dalla Ragioneria generale dello Stato e Conto annuale, oltre che dall’Istat, che la perdita progressiva di valore dei compensi percepiti da un dipendente pubblico rispetto all’inflazione è pari all’8,1%. Secondo l’’ufficio studi del giovane sindacato dovevano essere tre volte rispetto a quelli accordati: a fronte dello 0,36% per il 2016, l’1,09% del 2017 e del 3,48% dell’anno in corso, gli aumenti da applicare dovevano essere rispettivamente del 4,26%, del 4,66% e del 5,51%. Con la conseguenza che i valori dei compensi di docenti e Ata risultano sotto il 50% del tasso IPCA non aggiornato dal settembre 2015.